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LE STORIE DEL FIGIO. GIUSEPPE PERLETTO, POCHE PAROLE E TANTA SOSTANZA. GALLERY
dalla Redazione | 17/09/2023 | 08:20

È un ritorno agli anni 1970 del ciclismo professionistico italiano il ricordo di un forte corridore, talvolta inespresso nelle sue notevoli potenzialità, soprattutto in salita, quale il ligure Giuseppe, sovente abbreviato in “Beppe”, Perletto di Dolcedo, piccolo comune – 1.500 abitanti circa - con molte frazioni nella valle del Prino, a nord di Imperia, dalla parte di Porto Maurizio, con morfologia mossa su dolci rilievi collinari dove è diffusa la cura dell’ulivo e degli ortaggi.

Fisico tipico di scalatore, non certamente un colosso ma resistente alla fatica, più dotato di resistenza e fondo rispetto allo scatto secco anche sul suo terreno preferito, carattere tenace, silenzioso, oltremodo silenzioso, schivo in ogni sua manifestazione, sovente rispondeva con un sorriso abbozzato, alle domande e agli incitamenti dei suoi sostenitori. Nativo di una terra certamente non prodiga di corridori anche per la particolare morfologia del territorio ligure, bello, sovente splendido, ma oltre la fascia costiera, la famosa e trafficatissima Aurelia che la percorre per intero a fianco del mar Ligure, la pianura è praticamente inesistente, quasi sconosciuta e pedalare è sinonimo di fatica nel territorio. Taciturno, timido, mai polemico pure quando avrebbe avuto fondati motivi per esserlo, si “apriva” un po’, giusto un po’, con un gruppo speciale di suoi tifosi-amici, molti proprio della sua valle, olivo cultori come lui, circa una ventina, che erano impegnati al Giro d’Italia quali trasportatori e montatori delle parche strutture di allora, transenne, tribuna partenza e arrivo, arruolati dalla sanremese OTAT, società di trasporti guidata da Piero Parise e Mimmo Filippi, che per decenni, dagli anni 1950 alla metà del duemila circa, ha operato in tema. Erano frasi rapide, essenziali nel loro stretto dialetto, senza manifestazioni minimamente appariscenti, sempre sottotraccia, loro segno distintivo. Non dava spago neppure alla presentazione “speciale”, soprattutto alla firma di partenza, che declamava, con tanti decibel in più, lo speaker Carlo Proserpio che soggiornava per lunghi periodi ad Imperia ed esprimeva sempre un non nascosto, personale “tifo” in favore di Perletto, sempre tetragono a farsi trascinare dall’entusiasmo e dal protagonismo che non gli sono mai appartenuti, né allora, né mai.

Giuseppe Perletto approda al professionismo, vestendo la maglia della Zonca, nel 1972 dopo buoni successi di rilievo fra i dilettanti, vincitore della Montecarlo-Alassio nel 1970 e il posto d’onore del Giro d’Italia dilettanti del 1971, vinto da un certo Francesco Moser. Era una formazione variegata alimentata dalla passione dei fratelli Matteo, Luigi e Giorgio Zonca quella con sede a Voghera e guidata dall’ammiraglia, e non solo, da Ettore Milano. E il ligure di Dolcedo ottiene buoni piazzamenti al suo primo anno nel ciclismo di vertice. Pure l’anno seguente è sulla falsariga del primo ottenendo buonissimi piazzamenti personali pur impegnato sovente nel gioco di squadra per i compagni.

Il 1974 è l’anno in cui Perletto firma vittorie di rilievo con la maglia della toscana Sammontana guidata dalla personalità di Alfredo Martini con Walter Riccomi e Roberto Poggiali. Colse la sua prima affermazione, quale profeta in patria (o quasi), nella quattordicesima tappa del Giro d’Italia, la durissima Pietra Ligure-Sanremo corsa sotto una pioggia battente. Il percorso fu allungato di 25 chilometri per impraticabilità del valico di Monte Ceppo, con varie scalate di inediti passi nell’entroterra imperiese, prima il passo del Bignone, percorso da un versante e poi scalato anche nell’altro, poi il passo Langan. La tappa fu aperta da una delle, peraltro non infrequenti, “mattane” dello spagnolo Manuel Fuente, in maglia rosa già dopo la terza tappa, al continuo assalto, quasi quotidiano, come se non ci fosse un domani, per mettere in difficoltà Eddy Merckx. E Indovinate chi indossò la maglia rosa al traguardo di Sanremo? Eddy Merckx, il “cannibale” che la rivestì sempre fino alla conclusione di Milano per la sua quinta, e ultima, maglia rosa finale. Era il famoso Giro dove l’asso belga sopravanzò GB Baronchelli di 12 secondi. Non fu una novità per il “caliente hidalgo”, impulsivo, ma sempre spettacolare, piccolo scalatore spagnolo, scomparso in ancora giovane età.

Torniamo però alla tappa che ha visto all’attacco, nella parte finale, Giuseppe Perletto e Miro Panizza insieme ad altri tre corridori poi staccati dai due con Panizza impegnato al massimo per tenere viva la fuga e Perletto alla sua ruota che, per ordini di scuderia, non collaborava assiduamente con il corridore lombardo, simile nel fisico a Perletto ma non nel carattere in quanto assai “fumantino”, diretto, per Miro. Dalla sua Perletto ha il vantaggio di conoscere, a occhi chiusi, le strade impegnative e riesce a evitare Panizza che, nel finale, cade davanti a lui in una curva riportando pure danni alla bicicletta.

Giunge così solitario al traguardo dello spettacolare corso Imperatrice con la pioggia che scendeva, a mo’ di ruscello, lungo l’asfalto della strada in leggera salita. Panizza è secondo a 21” e, a seguire, GB Baronchelli a 40”. Fu un arrivo muto, nel senso letterale, in quanto l’impianto di diffusione fonica andò in palla, senza rimedio e lo speaker Carlo Proserpio restò sempre ammutolito, così come gli spettatori, che non poterono fruire neppure della diretta Rai, poiché, in quegli anni, la Rai, per l’austerity, trasmetteva la tappa registrata. Solo la “sorella cieca della tv, la radio, diffondeva notizie in diretta delle tappe.

Altra vittoria di quell’anno, è stata la “attraverso Losanna” dove vinse pure una tappa delle due in programma nel medesimo giorno aggiudicandosi la classifica finale e prevalendo così su un campo di partecipanti di primo livello.

La Sammontana chiude e, nel 1975, il ligure passa ad un’altra squadra toscana, la Magniflex di Prato con gli appassionati fratelli Franco e Giuliano Magni. Inizia con il botto imponendosi nel Giro della Provincia di Reggio Calabria e ottenendo il podio in altre tappe. Nella famosa tappa conclusivo di quel Giro, con arrivo finale al Passo dello Stelvio con il palpitante duello, testa a testa, fra il bresciano Fausto Bertoglio e lo spagnolo Francisco Galdos che lo seguiva dappresso al secondo posto della generale. Galdos vinse la tappa ma la rosa rimase sulle spalle di Bertoglio. Terzo, a 1’17” dai due duellanti, fu Perletto che conquistò pure il quinto posto nella classifica finale, il suo miglior piazzamento in un Grande Giro.

Il suo palmarès, nel 1976, riferisce la vittoria nella prima tappa della Tirreno-Adriatico seguita da quella della seconda frazione della Settimana Catalana, battendo nientepopodimeno che Eddy Merckx. L’anno seguente, 1977, è primo in una tappa della Vuelta e una tappa dolomitica, la Conegliano -Col Druscié, con arrivo in salita, un bel “balcone” che domina Cortina e la sottostante, splendida, conca ampezzana.

L’anno 1978, verso il termine della sua della sua carriera pedalata, ottiene due vittorie di gran rilievo. La prima fu il Giro della Toscana con arrivo nell’esteso Parco fiorentino delle Cascine prevalendo, con leggero distacco, su due bresciani Pierino Gavazzi e Giuseppe Martinelli. E questa corsa travalicò l’ambito ciclistico-sportivo poiché il filmato RVM (ripresa video mobile), per un guasto, non registrò l’arrivo di Perletto. Il telecronista Adriano De Zan non si perse d’animo e, grazie anche alla sua amicizia con i fratelli Magni, organizzò il bis dell’arrivo in solitaria di Perletto. Il tutto fu “montato” in breve tempo e pochi o punti, come dicono i toscani, telespettatori se ne accorsero. Allora il ciclismo proponeva l’emissione tv in “registrata”, non in diretta. E fu subito “buona la “seconda” per fare ricorso al gergo dei set cinematografici.

Altra vittoria alla corsa rosa Perletto la colse in terra bresciana, a Sarezzo, industre centro all’inizio della Valtrompia, allora sede dell’Ofmega, nota azienda di componentistica ciclistica varia. Secondo, a 11” Pierino Gavazzi, “enfant du pays” che prevale su Francesco Moser.

E qui cala il sipario ciclistico su Giuseppe Perletto che, senza molti rimpianti, da uomo concreto, a tempo pieno, molto pieno – soggiunge -, si dedica ai suoi ulivi e agli ortaggi vari dei suoi campi, rispondendo comunque alle chiamate di amici ed ex-colleghi, anche e soprattutto del vicino Piemonte, per qualche evento riconducibile anche al “nagnathlon”, però sempre con la modestia e la moderazione che gli sono proprie. Anche due “stagionati” commissari internazionali UCI liguri, Ivo Luigi Bensa di Imperia e Francesco Cenere di Loano, con vari altri hanno contatti amichevoli con Beppe Perletto.

Il ciclismo lo segue sempre con interesse ed è sempre grato a quest’attività che gli ha permesso di avviare e realizzare le attività legate alle sue propensioni lavorative legate sempre al suo amato territorio.

La moglie, signora Liliana, lo aiuta fattivamente soprattutto nel periodo della raccolta delle olive mentre la figlia Maria Elena è insegnante a Genova con il marito Mauro, ingegnere informatico, genitori di Lucia, la nipote. E la distesa e quieta Dolcedo, soprattutto, è il frequente ritrovo del nucleo familiare Perletto con Beppe sempre in movimento, in azione, nella sua amata terra.

 

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