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LE STORIE DEL FIGIO. MAURIZIO BIDINOST, IL RE DEI VELODROMI E QUELL'AUTO SPECIALE... GALLERY
di Giuseppe Figini | 16/06/2023 | 08:10

Da ragazzino giocava a calcio, come tanti, nella squadra del suo paese, Cordenons, notevole centro in un panorama di piatta pianura, in provincia di Pordenone, capoluogo con il quale confina pure. E Cordenons è il punto d’incontro nel caratteristico ambiente con due delicati ecosistemi friulani diversi ma strettamente collegati, i “Magredi” e le “Risorgive”, che convergono nel territorio lungo il corso dei torrenti Cellina e Meduna.

È qui nato, il 10 gennaio del 1959, Maurizio Bidinost, cognome che certifica la sua origine “furlana DOC”, dapprima giovane calciatore ma ben presto avviato alle due ruote da Pietro Endrigo, un appassionato locale di ciclismo che Bidinost ricorda con affetto, che aveva intravvisto nel giovane aspirante calciatore, peraltro con ruolo ancora da definire, un futuro talento in bicicletta. E aveva visto giusto Pietro Endrigo in quanto Maurizio Bidinost si è ben presto rivelato un eccellente passista con specifiche attitudini, soprattutto per la pista, specialità inseguimento, proponendosi in sella con stile armonioso, potente, e allo stesso tempo, fluido amalgamato in una sintesi finale rivelatrice di una classe naturale, innata. E come si soleva dire una volta in tali circostanze, “un corridore bello in sella” e pure giù di sella, secondo molte ammiratrici, con tratti del viso improntati al sorriso quasi permanente.

Pista e percorsi su strada in pianura, prove a cronometro comprese, da vero “pianigiano” com’era per nascita, erano il suo terreno di caccia preferito in carriera, iniziata con la S.C. Cordenonese, quindi la Supermercato da Ugo, la società che aveva alla testa Ugo Caon, padovano di nascita ma friulano d’adozione, organizzatore del Giro del Friuli per professionisti poi. Da “junior” Bidinost gareggia con la S.C. La Pujese di Prata di Pordenone, e, infine, fra i dilettanti, nel 1978, approda a Milano, nella Nuova Baggio San Siro, formazione di punta del ciclismo di quegli anni, sia su strada, sia in pista, gestita con passione e partecipazione uniche da Alcide Cerato. Un dirigente di vaglia, con personalità spiccata, talvolta dirompente, come quando ha gareggiato agli inizi degli anni 1960 fra i professionisti nella Molteni con breve e sfortunata carriera, troppo presto interrotta e terminata, dopo un promettente inizio, per un grave infortunio al ginocchio. Era sempre e comunque in prima linea, sia nello sport del ciclismo, dove ha ricoperto incarichi di primaria responsabilità, sia nella vita, un “self made man” con capacità imprenditoriali innovative in un settore particolare e delicato come quello delle onoranze funebri che, in breve tempo, ha collocato la San Siro ai vertici del settore, operando con metodi e realizzazioni di peculiare visione prospettica.

Bidinost, poi “Bidi” per sempre e per tutti, rimane nella squadra milanese con molti dei suoi compagni, con folta rappresentanza veneta, molti dei quali poi autori di brillanti carriere. I nomi sono molti anche dopo una severa selezione e, per questo, preferiamo rimandare chi fosse interessato, alla consultazione degli annuari e degli archivi telematici per un utile “ripasso” in materia.

Concentriamoci su “Bidi” che, soprattutto in pista, specialmente nell’inseguimento, sia individuale, sia a squadre, ha contribuito in modo sostanziale all’incremento del palmarès sia della Nuova Baggio-San Siro, sia della nazionale azzurra nei diversi campionati, nazionali e internazionali. Fra i puri spiccano l’argento dei mondiali 1979 di Amsterdam nell’inseguimento individuale, il bronzo del quartetto sui 4 km. con il conterraneo Pierangelo Bincoletto, Silvestro Milani e Sandro Callari e il tricolore, sempre nello anno, sempre medesima specialità con Moreno Argentin, Pierangelo Bincoletto e il fiorentino Raniero Gradi, tutti della Nuova-Baggio-San Siro in rappresentanza della Lombardia.

Altri due bronzi mondiali nell’inseguimento individuale li vince ai Mondiali del 1981 a Brno, in Cecoslovacchia e l’anno seguente, già professionista, a Leicester, in Inghilterra ai quali vanno aggiunti i tricolori, in sequenza, nell’inseguimento professionisti del 1982-83-85 e 86. Il suo albo d’oro riporta di successi anche su strada, soprattutto nelle categorie giovanili in gare contro il tempo e pure in linea di spessore specifico.

Al professionismo, dopo un brevissimo “stage” di fine stagione 1981 alla Sammontana-Benotto, giunge nel 1982 indossando la maglia grigio-blu di una formazione storica come la padovana Atala, abbinata a un altro marchio di valore quale Campagnolo. In ammiraglia, alla guida tecnica Franco Cribiori, direttore sportivo di rilievo. E in questa squadra gareggia anche con il corregionale Walter Delle Case, solido corridore di Majano del Friuli, rimane per tre stagioni dando il suo specifico contributo di passista nelle gare su strada e frequentando con assiduità la pista, la sua “comfort zone” dove eccelle nell’inseguimento e pure nelle varie prove che si disputano durante le Sei Giorni, all’epoca ancora assai in voga e frequentate, soprattutto nel nord Europa. E un indiscutibile re assoluto della specialità, il grande, compianto, velocista belga Patrick Sercu, vincente “moto continuo”, sia su strada, sia su pista, che ancora oggi detiene il record di vittorie – 88 successi nelle 223 Sei Giorni disputate in ogni angolo del mondo - lo vuole quale compagno in una “classica” di questi caroselli, quella di Berlino, vinta nel 1982.

È da ricordare, e non solo per il libro d’oro sportivo, la Sei Giorni di Noumea, la capitale della Nuova Caledonia, proprietà extraterritoriale francese, isola dell’Oceano Pacifico, fra l’Australia, le Figi e la Nuova Zelanda, le due vittorie, quando era ancora dilettante, in quella Sei Giorni, la prima nel 1980 con il francese Bernard Vallet e, l’anno seguente, in coppia con Francesco Moser.

Ed è qui che Maurizio Bidinost, a 17.000 chilometri di distanza dal Friuli, incontra Donatella, friulana di Latisana, in provincia di Udine, che si era trasferita lì con la famiglia che gestiva una società edile, e che è poi diventata sua moglie. Quando si dice il destino…. E pensare che la distanza fra Cordenons e Latisana è inferiore ai 50 chilometri. La figlia Sara, 36 anni, si occupa della gestione di villaggi turistici con il compagno.

Nel 1985 Bidi passa alla Murella-Rossin diretta dall’autorevole veterano Luciano Pezzi con un giovane preparatore innovatore, il prof. Aldo Sassi. È una squadra con corridori di livello che, l’anno successivo, era il 1986, si associa con la Fanini e Edilcimini, cambiando la guida tecnica, assunta dal toscano Piero Bini e dall’abruzzese Donato Giuliani.

È il suo ultimo anno di carriera. Ha 27 anni quando “Bidi” avverte il richiamo deciso di vita più stanziale, non da giramondo come presuppone il ciclismo, nella sua Cordenons. Partecipa a un concorso del comune per autista che lo promuove e, fino all’agosto 2021, conduce soprattutto scuolabus, accompagnando generazioni di giovani scolari.

Ha sempre seguito il ciclismo ma senza mai lasciarsi tentare da richiami para agonistici di varia natura, pedalando in distensione, cosa che fa ancora adesso dopo essersi ripreso da qualche problema di salute.

E continua il frequente contatto telefonico con l’ex patron, il “cumenda”, così lo chiama lui come tanti altri, e altri protagonisti di quegli anni “milanesi” nel ricordo del tempo andato quando toccava sempre a Bidinost, tenere in consegna l’automezzo con le insegne della corona d’alloro della “San Siro American Funeral” che la società metteva a disposizione dei corridori veneti per i rientri nelle loro abitazioni quando il denso calendario agonistico proponeva delle soste e potevano lasciare la foresteria di Seguro della Nuova Baggio-San Siro. La “formazione” di viaggio comprendeva con “Bidi”, Moreno Argentin e il suo amico e compaesano Dario Mariuzzo, i primi a giungere a destinazione abitando entrambi a Passarella di San Donà di Piave, in provincia di Venezia, poi Giovanni Renosto di Treviso e, infine, Maurizio Bidinost, quello che abitava più a nord. Toccava a lui custodire il mezzo prima del ritorno e, ancora oggi, ricorda un certo imbarazzo a mostrarsi con l’automezzo che rivelava, nella forma e nel colore, nonostante le operazioni di mimetizzazione e/o rimozione dei simboli più evidenti, la sua destinazione d’origine. E cercava di parcheggiarlo in luogo un po’ nascosto prima del ritorno ma riconosce che era comunque, spazioso, comodo e assai capiente.

Era forse un segnale premonitore dell’attività che avrebbe intrapreso dopo le corse guidare quell’autoveicolo? E “Bidi”, sorridendo, se lo chiede ancora adesso.

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