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LE STORIE DEL FIGIO. GLI ATTIMI DI ILARIO "FELLINI"
dalla Redazione | 03/04/2017 | 07:49

“Romano de Roma”, tiene sempre a precisare Ilario Biondi, fotografo specializzato in ciclismo da una vita, soprannominato affettuosamente “Fellini” dai colleghi e amici dell’obiettivo che seguono con costanza e passione il ciclismo, tutto l’anno. Diritti d’autore per la definizione vanno a un grande e grosso signore, letteralmente, il fotografo olandese Cor Vos, incrociato durante la carriera, che l’ha sempre chiamato “Fellini” e il soprannome gli è rimasto.

Cinquantanove anni certificati dalla carta d’identità ma il dinamismo, talvolta frenetico, dei movimenti e l’aspetto del viso, un po’ alla “nazarena” con barba leggera, pizzetto e capelli spioventi che arrivano quasi alle spalle – un look che l’ha sempre distinto –, un po' tipo l’attuale Peter Sagan, contribuisce a regalargli qualche primavera in meno delle effettive.

La prima foto non si scorda mai e, infatti, Ilario Biondi ricorda ancora, in tutti i particolari, il suo primo scatto ciclistico quale fotografo della rivista mensile BS per la quale ha lavorato intensamente dal 1983 al 2012.
Le basi tecniche del mestiere con macchine fotografiche, tempo d’esposizione, pellicole, acidi, camera oscura, sviluppo e quanto altro connesso le aveva acquisite lavorando presso uno studio fotografico dopo il termine degli studi superiori.
Era la partenza della Tirreno-Adriatico del 1983 e il soggetto del primo scatto è stato Giovanni Battaglin, in maglia Inoxpran, il bravo scalatore veneto era verso il finale della sua carriera di pedalatore che, in breve, si sarebbe tramutata in quella di costruttore di biciclette.

E Biondi ricorda, a proposito della Tirreno-Adriatico, che quest’anno 2017 è stato la prima volta che ha saltato la corsa dei due mari dal suo esordio nel ciclismo con la macchina fotografica. La “colpa” è di Roberto Bettini che l’ha voluto con sé per farlo esordire, alla sua età…, alla Parigi-Nizza.

Riferendosi alla corsa creata da Franco Mealli, sentita sempre come un po’ la “sua corsa” se non altro per motivi affettivi, Ilario ricorda le figure dei piloti della squadra motociclistica dei Vigili Urbani – ora Polizia Locale - del comune capitolino che hanno sempre affiancato la frenetica attività organizzativa di Mealli a Roma (allora, ora molto meno, anzi niente, purtroppo…. N.d.R.)  e nel resto d’Italia.
E di questa squadra ricorda Carlo Volterra e Franco Mascardi che per molti anni, in tante, tantissime gare, hanno pilotato la sua moto nelle corse del calendario internazionale che, con assiduità e presenza costante, in corsa e pure fuori competizione, nelle visite agli alberghi dei corridori e in varie altre situazioni. Una sorta di simbiosi che unisce chi è alla guida del mezzo e il “passeggero-fotografo” che, in corsa, all’istante, devono concertare l’azione comune con un cenno, un tocco, un urlo, un ordine secco, sempre in campana, all’erta e pure con qualche imprecazione, data o ricevuta, ma si sa che la corsa è corsa, come si suole dire.

E, sempre per gli inizi della sua attività, al suo primo Giro d’Italia nel 1984, Ilario Biondi ricorda – usando fedelmente le sue parole – «Sergio Penazzo, fotografo già esperto all’epoca perché aveva grandissima esperienza e sapeva “leggere” molto bene la corsa. Vedere i suoi movimenti in moto mi aiutò moltissimo».

Ilario Biondi ha documentato con il suo sensibile obiettivo (l’aggettivo è riferito a Ilario, non all’obiettivo) per raccontare, con completezza, attraverso gli scatti e le immagini la corsa e i suoi protagonisti, sia su, sia giù, dalla bicicletta.
Tutti gli appuntamenti di rilievo, in campo nazionale e internazionale, vedevano Ilario Biondi in campo, anzi sulle strade, con la squadra di Bicicsport.

Dopo le corse, le fasi del dopocorsa c’era anche, e non meno importante, il lavoro di redazione per catalogare e ordinare l’archivio e disporre così d’immagini fresche, aggiornate, significative, espressive e belle – il che non guasta – per supportare al meglio la produzione editoriale.

Non ha una giovinezza ciclistica Ilario in quanto, da ragazzino, si dilettava a giocare a calcio sognando la Roma, la squadra della sua città che è sempre stata, ed è, una costante e viva passione fin dai tempi dell’infanzia dopo una breve infatuazione interista legata alla figura di H.H., il “mago” per eccellenza e definizione, Helenio Herrera, poi alla guida anche dei “lupi” giallorossi.

Il ciclismo è poi entrato in pieno nella sua vita collegando il lavoro a una passione repentina e crescente specifica per le due ruote alimentata da tante corse, tanti momenti, tante amicizie con corridori, colleghi, giornalisti, vari personaggi e appassionati che hanno attraversato trentacinque anni di carriera, un po’ ovunque. Sole, pioggia, vento, qualche spolverata di neve, pianure, salite, discese l’hanno accompagnato – e lo accompagnano tuttora – nel suo lavoro.

Fino al 2012 è stato con BS poi, per scelta aziendale, il suo rapporto lavorativo s’interrompe. Qui il “vecchio” Roberto Bettini, collega di corse e soprattutto amico di una vita, nella piena accezione del termine, titolare della Bettiniphoto con il “giovane” Luca, suo figlio, pure lui “in ditta”, come si dice, prospetta all’amico Ilario la possibilità di proseguire nel suo lavoro (e nella sua passione) di sempre nell’ambito del ciclismo interazionale. E’ una prospettiva subito molto apprezzata e colta con piena soddisfazione da Ilario Biondi per una continuità professionale in sinergia di proficua e amichevole collaborazione come quella in atto con Bettiniphoto.

Tanti, tantissimi sono gli episodi e gli aneddoti legati alla sua professione che ricorda.
Vera emozione, e anche di più, confessa d’averla provata alla premiazione finale ai Campi Elisi di Parigi del Tour de France 1998 quando, staccato un attimo l’occhio dal mirino della macchina fotografica, ha incrociato gli sguardi  di Marco Pantani e di Felice Gimondi, al suo fianco. Sente qualcosa muoversi dentro, una sensazione forte, fortissima, incredibile, che lo sovrasta.

Un attimo, giusto un attimo, ma con un’emozione e commozione intense che rivive e riprova ogni volta che pensa a quell’incrocio rapidissimo di sguardi.
Sì, un attimo, proprio come una fotografia.

Giuseppe Figini

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