Nel 2024, in Italia, sono stati pubblicati più di 85mila titoli di libri. Significa quasi 240 titoli nuovi ogni giorno, compresi Capodanno e Ferragosto. Una enormità di libri per una minoranza di lettori. Eppure ci sono almeno cinque buone ragioni per leggere (e acquistare) “Verso Sarajevo” (di Fabio Masotti, Aska Edizioni, 144 pagine, 15 euro).
La prima ragione è l’autore. Ho conosciuto Masotti in bicicletta. E’ lui che ha fondato la Fiab di Siena (allora Federazione italiana amici bicicletta, oggi Federazione italiana ambiente bicicletta), è lui che ha ideato Bimbimbici (un’iniziativa per diffondere l’uso della bici tra i più giovani), è lui che ha scritto libri a due ruote e due pedali (“Chianti e Crete senesi in bicicletta”, Ediciclo, 2007; “Via Flaminia – un viaggio in bicicletta”, Aska, 2018; “Cassia Vetus e il territorio dell’Etruria” con Massimo Barbagli e Giovanni Cardinali, Aska, 2022…), è lui che, quando gli telefoni, risponde “ti richiamo più tardi” e spiega “sono in bici”. Masotti è stato un insegnante (italiano, storia…) ed è un viaggiatore così come lo intendeva Confucio (“Ovunque tu vada, vacci con il tuo cuore”).
La seconda ragione è il mezzo. La bicicletta: lentamente veloce, velocemente lenta, silenziosa, pacifica, nuda e semplice, disarmata e disarmante, così sempre dentro il tempo e lo spazio, sole pioggia vento, dalla canicola al gelo, dall’alba al tramonto e anche dopo, agile e fragile, stavolta a pedalata assistita, “senza rimpianti o improbabili nostalgie”, con altri parametri (le tacche di batteria consumate), ma senza alterare “la poesia e la felicità bambina che ogni cicloviaggiatore si porta dentro al momento della partenza e che alimenta durante l’esperienza”.
La terza ragione è la partenza. Trieste è ancora asburgica e mediterranea, italiana e slava, ebrea e mitteleuropea, è terra e mare, è porto e città, anche se mutata negli ultimi decenni, piazza della Libertà dove opera Linea d’Ombra, “un’associazione di volontari che presta i ‘rimi soccorsi a chi ne ha bisogno: piedi feriti per aver sopportato marce senza scarpe, corpi dilaniati dalla fame e ricoperti di stracci, anime distrutte dalle mille umiliazioni subite”.
La quarta ragione è l’arrivo. Sarajevo - Masotti c’era già stato una decina di anni prima, l’aveva conosciuta e amata -, le sue periferie e i suoi ponti, i suoi palazzi viennesi e la sua essenza bosniaca, il suo traffico pesante e le sue ciclabili salvifiche, il suo monte olimpico e le sue bancarelle popolari, il viale dei cecchini e il vagabondaggio cittadino. “La città ci risucchia nel suo ventre”.
La quinta ragione è il viaggio. “Verso Sarajevo”, con Fabio c’era anche l’amico Massimo, 620 chilometri in otto tappe, dieci calcolando anche quelle per raggiungere Trieste e per tornare in Italia (ma credo che se si raddoppiassero i giorni, Masotti ne sarebbe felice). Un viaggio di avvicinamento e introduzione, un viaggio di conoscenza e riconoscenza, un viaggio per spogliarsi e caricarsi, un viaggio che è una lunga lenta rincorsa, o forse inseguimento, un viaggio anche attraverso altri libri (da Umberto Saba a Ivo Andric, da Pier Paolo Pasolini a Egidio Ivetic, da Italo Calvino ad Alexander Langer), un viaggio come sempre dentro sé stessi.
P.S. Se Fabio Masotti mi telefonasse, innanzitutto non gli risponderei “ti richiamo più tardi” anche se fossi in bici, sperando che mi proponga un cicloviaggio, e allora gli direi subito di sì. Non succederà. Ma in fondo, grazie a questo libro, è già successo