Ci sono argomenti sommersi e striscianti, per loro natura noiosi e contorti, che vengono regolarmente ignorati. Errore madornale. Perchè più di tante chiacchiere spiegano come stia cambiando, o come sia già inesorabilmente cambiato, il ciclismo moderno.
Non c'è come la tappa di pianura con arrivo in volata per riportare a galla il più importante di questi cambiamenti epocali (che purtroppo fa rima con letali). Nel tardo pomeriggio, zona dopocorsa, i superesperti di settore reinventati opinionisti si spiegano e ci spiegano il perchè e il percome dello sprint. Il dramma: usano canoni tecnici e termini linguistici di un'altra era geologica. Vecchiume obsoleto. Non c'è il treno, questi due compagni sono andati ciascuno per conto proprio invece uno doveva sacrificarsi per l'altro, ma dove va quell'altro che spreca solo energie per un piazzamento così poi domani non ne avrà più per aiutare il capitano...
Cose canoniche e prevedibili, che valevano cinquant'anni fa, magari anche dieci, ma che adesso suonano come archeologia. O come lingua cinese in un congresso di boliviani.
Basta poi fare di mattina un giro tra i pullman al raduno di partenza per ascoltare parole d'oggi, molto più chiare e semplici, che nel bene e nel male rappresentano alla perfezione cosa siamo diventati. Fine del gioco di squadra, fine del tutti per uno, fine della logica e in fondo del vero senso sportivo, cioè la ricerca di una vittoria. Non vale più, non conta più niente. Adesso si corre con un altro obiettivo, per un altro scopo: fare punti.
E' questa, signori che ancora vi ostinate ad amare e seguire il ciclismo, la nuova password per entrare nella comprensione vera. Le squadre d'oggi, i corridori d'oggi, grazie ai regolamenti (farneticanti: definizione mia, ndr) hanno un solo mantra: fare punti, fare punti. In qualunque modo, a qualunque costo. Persino a costo di correre in questo modo, tutti là davanti nel volatone finale, ciascuno per conto suo, ciascuno per i propri interessi. La nuova filosofia dell'agonismo: meglio avere tre o quattro nei primi dieci che averne uno solo al primo posto. Meglio tanti piazzamenti che un vittoria sola.
Ovviamente non è un problema degli squadroni da trenta/quaranta milioni di budget, con Pogacar e Van Der Poel in organico: quelli di punti ne fanno più dei chirurghi. Il problema, assillante, persino angosciante, è dei team medio-piccoli, sempre in bilico nelle classifiche internazionali tra il dentro-fuori dalla cerchia eletta, per cui certo una vittoria fa curriculum, contratti di sponsorizzazione, prestigio, ma magari vale fuffa in termini di ranking internazionale.
Muovendomi alla partenza di Alberobello, ascolto Fortunato spiegare che con Velasco e Scaroni hanno messo in piedi nell'Astana una mezza gara sociale a chi fa più punti, così da tenere una posizione di squadra dentro la diciottesima, in pratica per non retrocedere come Lecce o Empoli in serie B, che qui significa grandi giri solo a invito. Poco più in là ascolto Basso e Zanatta spiegare chiaramente come la loro Polti ormai proceda con occhi divergenti, un occhio per tenere in classifica Piganzoli (che comunque l'anno prossimo se lo porterà via la Visma a cifre pesanti) e magari vincere una tappa, ma allo stesso tempo l'altro occhio sempre rivolto a fare punti, finora solo 6 su 14 ne hanno fatti e così non basta, Basso li vuole tutti a punti, chi più chi meno, perchè senza punti non si va più da nessuna parte. Stessi discorsi dallo zio Bruno Reverberi, che conferma e sottoscrive, aggiungendo a modo suo un giudizio franco e diretto, “se non s'inventano un altro sistema per classificare le squadre finiamo tutti a ramengo”...
Si può continuare a lungo con la litania. Ma la cosa che più stupisce è questa: un problema così enorme, in grado di stravolgere e snaturare il ciclismo, viene taciuto o comunque ignorato ai massimi livelli, dove si decidono, si fanno, si cancellano, si cambiano le regole. Sono tutti d'accordo, sta diventando un ciclismo a punti come la tessera dell'Esselunga, un ciclismo in cui si lotta per promozioni e retrocessioni sul filo del punto, salvo accorgerci che la vittoria non è più l'obiettivo numero uno, quanto meno non lo è per la maggioranza dei corridori e delle squadre. Poi ti credo che Fiorelli e Marcellusi, in Albania, vanno a fare due sprint singoli per la Bardiani anziché farne uno solo di squadra. Ottavo e nono (salvo retrocessione di Marcellusi) valgono molto più di un sesto/settimo e un ottantacinquesimo. Purtroppo. Ma come diceva Totò, è la somma che fa il totale. Peccato che nel ciclismo d'oggi siano le regole a far ridere.