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DIECI FACCE DA GIRO
di Angelo Costa | 08/05/2025 | 08:22

Lento nel mettersi in moto fra presentazioni slittate e wild card allargate, arriva finalmente il Giro d’Italia, che apre la stagione delle grandi corse a tappe. Un viaggio di 3.443 chilometri che per la prima volta scatta dall’Albania: è la quindicesima partenza dall’estero, la settima negli ultimi quindici anni. Fuori dai confini si andrà anche alla fine della seconda settimana, entrando in Slovenia.

Sulla cartina è un Giro più duro rispetto all’edizione scorsa, dominata da Pogacar: quasi ottomila metri di dislivello in più significa un maggior numero di scalate, in gran parte nella settimana conclusiva. Tre soltanto gli arrivi in salita, almeno sei le occasioni per i velocisti, una giusta dose di cronometro (42 chilometri) e l’ormai abituale razione di sterrati (30 chilometri nei cinque tratti di strade bianche senesi, 8 chilometri nell’arrampicata al Colle delle Finestre): ecco il menu proposto ad un buon cast di partecipanti, dove spiccano nomi eccellenti di uomini da classiche (Van Aert, Pidcock e Pedersen, tutti candidati alla prima maglia rosa), ma mancano i primattori del Tour (Pogacar, Vingegaard e Evenepoel). Ventitré le squadre al via, una in più del previsto dopo l’aumento concesso dall’Uci ai grandi giri, l’Italia non firma l’albo d’oro dal 2016, quando Nibali fece il bis.

Ecco le dieci facce che si candidano per festeggiare a Roma.

Primoz Roglic. Vince perché è quello che meglio di tutti sa come si conquista un grande giro, perché ha concentrato su questa corsa la sua stagione, perché può contare sull’aiuto dell’ex vincitore Hindley e di Dani Martinez, secondo un anno fa. Non vince perché 35 anni alla fine pesano.

Juan Ayuso. Vince perché ha un grande feeling con le strade italiane, perché va forte tanto in salita quanto a cronometro, perché al suo fianco ha Del Toro e Adam Yates che hanno qualità da vincenti. Non vince perché rispetto a Roglic gli manca un pizzico di esperienza.

Mikel Landa. Vince perché si è preparato dosando al massimo le energie, perché è tra quelli che sulle montagne dure può dire la sua, perché arrivare a fari spenti gli toglie il peso dell’attesa. Non vince perché la crono resta il suo punto debole e a 35 anni soffre le nuove generazioni.

Antonio Tiberi. Vince perché ha già annusato l’aria dell’alta classifica, perché si difende bene su tutti i terreni, perché l’esperienza di Bilbao e Caruso è un bel modo per crescere in fretta. Non vince perché in questo Giro ci sono troppi scattisti e lui soffre quando c’è da rispondere subito.

Giulio Ciccone. Vince perché arriva da un inverno finalmente senza guai, perché a 30 anni ha l’ultima occasione per dimostrarsi uomo da classifica, perché ha imparato a dosare bene le energie. Non vince perché ha sempre la giornata storta che rovina tutto.

Romain Bardet. Vince perché è all’ultimo grande giro in carriera, perché nelle prove generali al Tour of the Alps è stato tra i più continui, perché ha le salite adatte per poter mettere in difficoltà tutti. Non vince perché correre stabilmente con i primi non significa batterli tutti.

Richard Carapaz. Vince perché è uno dei cinque al via che c’è già riuscito, perché fin qui ha pensato soltanto ad allenarsi, perché sulle strade italiane ha centrato i suoi risultati migliori. Non vince perché, dopo il podio al Giro di tre anni fa, in classifica non si è quasi più fatto vedere.

Egan Bernal. Vince perché ha un feeling speciale con il nostro Paese, perché ha ricominciato a mostrarsi competitivo come negli anni migliori, perché può contare sull’appoggio di uno scalatore come Arensman. Non vince perché rispetto ai più forti gli manca ancora qualcosa.

Simon Yates. Vince perché ha un percorso che gli sorride, perché è uno che nelle zone alte della classifica ha dimostrato di saperci stare, perché ha fatto della corsa rosa il suo bersaglio principale. Non vince perché quando il gioco si fa duro trova sempre il modo di complicarsi la vita.

Derek Gee. Vince perché questa è una corsa che gli riesce bene, perché un anno fa da debuttante è finito nella top ten del Tour, perché è stato protagonista in tutte le brevi corse a tappe disputate in stagione. Non vince perché un giorno storto anche a lui capita sempre.

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