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TDT UNIBET, PARLA TIETEMA: «L’OBIETTIVO È CHIUDERE IL CERCHIO AL TOUR MA ABBIAMO ANCORA MOLTO DA FARE. ITALIA? IDEALE PER CORRERE E KAJAMINI...»
di Federico Guido | 11/05/2024 | 08:25

Corridore (fino all’anno scorso), youtuber e oggi infine team manager di una squadra professionistica. Di tutte le cose che si possono dire su Bas Tietema, fondatore assieme a Devin van der Wiel e Josse Wester della squadra ProTeam olandese TDT-Unibet, certamente non si può affermare che la sua parabola nel mondo del ciclismo sia stata delle più lineari e comuni. Nelle ultime stagioni infatti il classe 1995 cresciuto nella BMC Development è passato dal consegnare pizza ai corridori del Tour de France al gareggiare al fianco dei più noti uomini da classiche del mondo in circostanze come quelle della Parigi-Roubaix 2022 fino al dirigere le operazioni di una compagine che, portando il suo cognome, attualmente milita nella seconda divisione mondiale.

Alla luce di questo peculiare percorso, sia la sua figura che il progetto avviato da lui due anni orsono (entrambi con un ampio e caloroso seguito sui social) è inevitabile che costituiscano, tanto presso gli appassionati quanto gli addetti ai lavori, motivo di grande curiosità e interesse.

Così, approfittando della sua presenza al TotA (dove è arrivato dopo aver guidato la squadra nella prima corsa World Tour della sua ancor breve storia, l’Amstel Gold Race), abbiamo avvicinato Bas per conoscere qualcosa in più di lui, del suo rapporto con l’Italia, del suo nuovo ruolo ma anche per capire meglio gli obiettivi e la filosofia con cui egli sta dirigendo la sua formazione, un team dove tutto o quasi viene filmato, dove non mancano diversi profili promettenti (non solo quelli di Hartthijs de Vries e Nicklas Pedersen che finora hanno dato alla TDT le uniche due vittorie stagionali) e in cui non è da escludere possa arrivare presto anche il primo portacolori italiano.

Bas, raccontaci: come avete iniziato questo progetto?

«Tutto è iniziato nel 2019, quando siamo andati al Tour de France per avviare il nostro canale YouTube. Abbiamo iniziato dicendoci "Seguiamo il Tour de France e poi vedremo cosa verrà fuori". Continuando così, due anni dopo ci siamo chiesti per la prima volta: "Se con questa fanbase creassimo una squadra di ciclismo di cui le persone possono seguire il cammino fino ai massimi livelli?". È stato quello il primo momento in cui ci è venuta in mente questa idea e riuscire a tradurla nella creazione di una squadra Continental è stato un grande passo. Fare video creativi infatti è una cosa, gestire tutte le operazioni di una squadra di ciclismo è un’altra. Anche l'immagine che le persone hanno di te quando passi dal fare cose per i fan a mettere in piedi un'organizzazione sportiva professionale cambia. Ci hanno chiesto sempre: "Adesso fate entertainment o... cosa? Siete questo o quello?". La nostra penso sia una combinazione di entrambe le cose, vogliamo fare del nostro meglio su entrambi i fronti con le risorse che abbiamo a disposizione e perciò è necessario trovare il giusto equilibrio. Comunque, da quando due anni fa abbiamo iniziato l’attività con la formazione Continental tutto è andato avanti piuttosto velocemente tant’è che questa stagione siamo saliti di categoria».

Avete realizzato di aver portato un nuovo modo di guardare e godersi il ciclismo nel mondo o no?

«No. Forse lo capiremo più avanti, quando ci guarderemo indietro e ripenseremo a dieci anni prima. Ora sto solo vivendo con un sacco di entusiasmo ciò che facciamo qui tutti i giorni. [...] È come se, più o meno, facessi quotidianamente un hobby. A volte risulta difficile vivere il momento e pensare "ok, quello che abbiamo ottenuto è abbastanza impressionante" perché abbiamo ancora molta strada da fare per arrivare dove ci siamo prefissati. Bisogna sempre trovare il giusto equilibrio tra il godersi il momento e il pensare a migliorarsi in ogni aspetto, non solo a livello sportivo. Perché poi, alla fine, l’ambizione ultima è quella di arrivare a fare il Tour de France».

È quello il vostro obiettivo? La partecipazione al Tour de France 2026?

«Penso che l'obiettivo ultimo sia quello di chiudere il cerchio arrivando a vedere una nostra squadra di ciclismo sugli Champs Elysees dopo esser partiti da un canale YouTube. Tutto è iniziato con il Tour de France, quindi forse è anche per questo che la Grande Boucle rappresenterebbe la chiusura perfetta ma, naturalmente, abbiamo diversi altri milestone da raggiungere lungo il percorso come la prima corsa World Tour (obiettivo conseguito partecipando all’Amstel Gold Race, ndr), il primo Grand Tour (che potrebbe essere il Giro d’Italia) ...».

Guardando i vostri video si nota che, più che sulle vittorie, in questo momento sembrate forse più concentrati sul crescere come squadra, sull’aiutare i corridori a emergere e migliorare la sensibilità tattica di ciascuno. È corretto?

«Sì. Naturalmente vogliamo vincere (abbiamo vinto una tappa ad Antalya e una corsa in Olanda) e in alcune gare, ovviamente, vogliamo fare bene, ma credo che alla fine i risultati arriveranno come conseguenza di ciò che stiamo facendo. Se vuoi arrivare al Tour de France devi correre anche le gare che stiamo disputando ora, naturalmente [...] essere realista e saper inquadrare tutto in una prospettiva a lungo termine senza però, allo stesso tempo, rinunciare a far bene ora. È un equilibrio molto sottile. Lo dimostra anche il modo in cui abbiamo selezionato i corridori perché non abbiamo preso ragazzi con molta esperienza nel World Tour o grandi leader ma molti corridori che vengono dalle competizioni nazionali, che siano quelle francesi o olandesi... Stanno tutti già facendo passi da gigante, gli stessi che stiamo facendo noi come squadra».

Parlando di corridori, avete un roster composto da ragazzi provenienti da sette nazioni diverse. Ci sarà spazio in futuro per un corridore italiano?

«Spero di sì. Sto guardando davvero molto attentamente le gare italiane. Sebbene ovviamente Josse, Devin e io veniamo dall'Olanda, la nostra è una squadra che ha un’identità internazionale e un modo di approcciarsi all'industria del ciclismo diverso, digitale, più globale appunto. A livello di corridori, questo ci porta a sentirci liberi di scegliere prospetti futuribili. In questo senso un italiano che sta facendo molto bene è Kajamini».

Lo state cercando?

«In questo momento lo sto seguendo come molti altri corridori. Penso sia un ragazzo davvero promettente. Lo stesso vale per Pavel Novak che ha vinto il Trofeo Piva o anche Sergio Meris che è andato molto bene alla Settimana Coppi e Bartali. La passione che ho per il ciclismo mi porta a seguire anche le gare di livello 1.2 o nazionale. Lì puoi notare molti profili e tenendoli d'occhio puoi vedere se hanno del potenziale. Questo non vuol dire che li cerchiamo subito ma a volte sì. A volte cerchiamo di farci sentire molto presto con loro, altre volte alcuni corridori sono semplicemente molto bravi e posso capire che vadano nelle migliori squadre del World Tour... In ogni caso è davvero divertente seguire i corridori nelle fasi iniziali della loro carriera e vederli poi progredire».

Sappiamo che hai corso alcune stagioni da professionista. Com’è stare da questa parte della strada?

«In generale, quella di ritirarmi è stata una delle decisioni migliori che potessi prendere. Mi piace ancora molto il ciclismo, provo ancora grande entusiasmo per il mondo delle corse ma ora è come se avessi la visuale dall’elicottero e posso godermi meglio tutto quanto. Quando sei un ciclista, sei sempre nervoso e un po' insicuro di quale sia il tuo livello, quando una gara non va bene puoi sentirti giù...Ora riesco a godermela molto di più e a pensare strategicamente come le cose possano migliorare, come possiamo arrivare ad essere la squadra migliore del mondo o come possiamo arrivare al Tour de France. Questo è ciò che faccio. Per me è meno stressante perché ora sono più sicuro di quello che sto facendo ma anche perché so che quello che facciamo è unico e, anche se possiamo migliorare, lo stiamo portando avanti bene».

Qual è il tuo legame con l'Italia?

«Quattro anni fa, quando la partenza del Giro era in Sicilia, abbiamo realizzato una serie per il nostro canale YouTube che ci ha visto pedalare dall'Italia all'Olanda. Mentre i corridori correvano le tappe, noi avevamo come obiettivo quello di arrivare prima di loro ad Amsterdam. Così facendo, abbiamo pedalato dalla Sicilia alla costa Adriatica, è stato davvero bellissimo. Due mesi fa invece ero in ospedale in Italia con la spalla slogata. Wim (che si occupa più della parte finanziaria e del back office di quello che stiamo facendo) ha infatti una seconda casa a Sterzing (Vipiteno) e a volte andiamo lì per due, tre o quattro giorni per parlare del futuro. Quest'inverno siamo andati lì per sciare e ho avuto un incidente dove mi sono slogato la spalla. A parte questo, in generale per me che ero un corridore piuttosto pesante gareggiare qui era sempre piuttosto complicato. Per la squadra oggi penso sia un ottimo posto dove poter correre per il tipo di gare, il livello che c’è e anche perché qui ci sono molti corridori di talento. È anche per questo motivo che abbiamo fatto la Coppi e Bartali, il Giro d'Abruzzo, il TotA e che in futuro faremo altre gare. In Olanda, tutti si presentano al via un'ora prima della partenza perché c'è molto stress, qui è completamente diverso e questo mi piace molto. E per i ragazzi è lo stesso».

In attesa di rivedervi sulle nostre squadre, quest'anno intanto siete già riusciti a portare a casa un traguardo importante: avere uno dei più bei kit del gruppo, un kit tra l’altro realizzato da un brand italiano come Santini. Come avete raggiunto questo accordo?

«È davvero bello aver potuto realizzare una maglia così iconica con Santini. È divertente come siamo entrati in contatto, perché Monica Santini era al Tour de France un anno e mezzo fa e mi ha contattato in quanto noi eravamo lì per girare dei video e conosceva persone che sapevano cosa stavamo facendo. Mi ha chiesto se potessimo sentirci e dopo il Tour de France siamo arrivati a parlare dei piani che avevamo per il team Continental. Da lì si è sviluppato tutto in maniera molto rapida.

È divertente vedere che anche gli appassionati italiani seguono quello che stiamo facendo. Dobbiamo farci conoscere meglio passo dopo passo. Penso che il Giro d’Abruzzo, dove siamo andati per realizzare contenuti sulle gare italiane e allo stesso tempo abbiamo corso abbastanza bene (Adrien Maire ha chiuso in top 6 l’ultima tappa), ci abbia aiutato. Un giorno forse potremo fare al Giro quello che la Orica-Greenedge ha fatto a suo tempo con “Backstage Pass”. Realizzare qualcosa di simile alla Corsa Rosa per 21 giorni sarebbe davvero bello».

Da quali corridori ci possiamo aspettare qualcosa di importante quest'anno?

«Penso che Adrien Maire stia facendo molto bene, è al suo primo anno da professionista e ha concluso sesto l'ultima tappa in Abruzzo. Poi c'è Jelle Johannink che ha fatto il medesimo percorso ma sta correndo più che altro le classiche fiamminghe. Al suo primo anno a questo livello non ha ottenuto grandi risultati, ma ora sta andando super bene. Dobbiamo anche dire che siamo stati sfortunati con Cedrik Bakke Christophersen. È un corridore molto promettente ma ha avuto un problema alla gola, è stato costretto a operarsi e non ha potuto allenarsi per alcune settimane. Ora comunque è tornato in sella. Anche lui penso sia un corridore dal buon avvenire e lo stesso vale per Charles Paige: l'anno scorso ha concluso il Giro della Valle d'Aosta al quarto posto della generale dietro a Rafferty, Faure Prost e Del Toro... quindi delle qualità le ha».

Non possiamo non salutarti chiedendoti due parole sull'esperienza all’Amstel Gold Race (prima corsa WT nella storia della TDT che per l’occasione ha chiamato a raccolta tutti i suoi tifosi sul Geulhemmerberg dando vita al “TDT Corner”).

«È stato davvero pazzesco. Portare qualcosa del genere nel ciclismo penso sia unico. Abbiamo questa fanbase che [...], soprattutto nelle gare più importanti come le Monumento e i Grandi Giri dove non organizziamo hospitality per soli partner e sponsor, ti dà quasi la sensazione di essere in uno stadio. Se mi guardo in giro, è evidente che siamo ancora una squadra piuttosto piccola in termini di materiali e budget (le altre squadre hanno autobus più grandi, la Ineos ha il suo food truck...) e so che la strada da fare davanti a noi è ancora molto lunga ma se penso all'Amstel e al nostro apparato media direi che dobbiamo essere davvero orgogliosi perché è come se stessimo giocando in Champions League».

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