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DIECI FACCE DA TOUR
di Angelo Costa | 04/07/2025 | 08:15

E’ un Tour che torna all’antico. Intanto perché riparte dalla Francia: dopo tre edizioni iniziate fuori dai confini (Danimarca, Paesi Baschi e Italia), comincerà da Lille. Poi perché si accenderà da metà in poi, come succedeva una volta: nelle prime dieci tappe, le difficoltà stanno a zero o quasi. E’ il Tour più francese da qualche anno in qua: il percorso rispetta il tradizionale ‘ricciolo’ o Grande Boucle che dir si voglia, senza mai mettere il naso fuori dai confini. Un paio di crono (33 chilometri piatti il quinto giorno a Caen, 11 in salita sui Pirenei il tredicesimo), cinque arrivi all’insù, con Hautacam, mont Ventoux e col de la Loze, molte tappe per attaccanti e velocisti: questo il menu proposto da un’edizione che l’ultimo giorno a Parigi, per i 50 anni degli arrivi sui Campi Elisi, propone tre passaggi a Montmartre ricalcando il percorso olimpico. L’Italia, che nel nuovo millennio ha conquistato solo l’edizione 2014 con Nibali, alla rassegna dei migliori specialisti al mondo presenta un velocista (Milan, al debutto) e un cronoman (Ganna), sperando di interrompere un digiuno lungo 106 tappe (l’ultima nel 2019 del solito Nibali). A digiuni sta peggio la Francia, che non vince il Tour da 40 anni esatti. Ecco le dieci facce degne dell’Arco di Trionfo.

Tadej Pogacar. Vince perché ha un altro passo rispetto alla concorrenza, perché in salita non ha avversari, perché esser scortato da un potenziale vincitore come Almeida è un bel vantaggio. Non vince perché il caldo e Vingegaard potrebbero rivelarsi ostacoli più difficili del previsto.

Jonas Vingegaard. Vince perché resta l’alternativa migliore a Pogacar in salita, perché ha risparmiato tutte le energie per questo appuntamento, perché a supportarlo ha una squadra fenomenale. Non vince perché anche quest’anno la sua marcia di avvicinamento non è stata serena.

Remco Evenepoel. Vince perché aver perso peso lo aiuterà in salita, perché il podio di un anno fa lo ha convinto di poterci riuscire, perché fra i due litiganti designati ci sta che goda il terzo. Non vince perché anche lui ha avuto una primavera complicata e alla lunga si sente.

Primoz Roglic. Vince perché deve rifarsi della sfortuna al Giro, perché saltando mezza campagna d’Italia non si è consumato troppo, perché è uno di quelli che i grandi giri sa come conquistarli. Non vince perché a 35 anni il suo modo di correre fatica a digerire quello dei più giovani.

Florian Lipowitz. Vince perché sa andar forte su tutti i terreni, perché al Delfinato è stato quello che meglio degli altri ha retto l’urto dei migliori, perché non verrà spremuto soltanto in appoggio a Roglic. Non vince perché gli manca ancora qualcosa per abitare stabilmente ai piani alti.

Matjas Skjelmose. Vince perché nei grandi giri è cresciuto di anno in anno, perché va forte a crono e regge in salita, perché è tra i pochi che nelle classiche di primavera ha battuto Pogacar. Non vince perché in un grande giro non devi avere passaggi a vuoto e lui ha ancora giornate no.

Ben O’ Connor. Vince perché in salita è uno di quelli che resta davanti, perché far bene Giro e Vuelta lo scorso anno gli ha dato più fiducia, perché a 29 anni o vinci o ti accontenti di piazzarti. Non vince perché quel che guadagna in salita lo sciupa a cronometro.

Carlos Rodriguez. Vince perché è uno che nei grandi giri ha un posto fisso nei dieci, perché è di quelli difficili da staccare in montagna, perché a 24 anni ha l’occasione per fare il definitivo salto di qualità. Non vince perché in questa stagione, se si è nascosto, l’ha fatto benissimo.

Santiago Buitrago. Vince perché ha puntato tutta la sua stagione sulla campagna di Francia, perché all’esordio un anno fa ha chiuso nella top ten, perché può contare su compagni tosti come Lenny Martinez. Non vince perché fra primavera e Delfinato non è mai apparso brillante.

Enric Mas. Vince perché un Tour che mette le montagne in fondo gli sorride, perché è un altro di quelli che fino all’ultimo resta lì, perché dopo una vita da piazzato prima o poi l’annata giusta la indovina. Non vince perché prima della terza settimana trova sempre il modo di complicarsi la vita.

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