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LE STORIE DEL FIGIO. CLAUDIO GOLINELLI, VELOCISTA MA NON SOLO... GALLERY
di Giuseppe Figini | 06/06/2024 | 08:14

È un po’ uscito dai cono di luce dei radar dell’attualità ciclistica il nome di Claudio Golinelli, plurimedagliato con medagliere importante nella pista e pure con buona carriera anche su strada grazie al suo spunto veloce.

È nato a Piacenza il 1° maggio 1962 dove, da Imola, città d’origine della famiglia, il padre che lavorava nelle Ferrovie dello Stato, era stato trasferito. Claudio Golinelli ha vissuto i suoi primi nove anni nella città sulle rive del Po per poi, sempre per i motivi collegati al lavoro del papà Augusto, suo primo tifoso, stabilirsi, diciamo definitivamente, nel capoluogo dell’Emilia-Romagna, Bologna, dove tuttora risiede.

Abituale trafila nelle categorie giovanili dove si è posto in luce per lo spunto veloce che, fra i dilettanti di vertice, gli ha permesso d’affermarsi, rivestendo la maglia tricolore di campione d’Italia su strada nel 1981 a Taranto con i colori della Novartiplast e  con altre vittorie di prestigio come quella centrata nel “classicissimo” Gran Premio Liberazione 1983, una gara-evento nel cuore di Roma di primissimo rilievo in campo internazionale in quel periodo.

Il passaggio al professionismo avviene l’anno seguente, nella neonata formazione della Murella-Rossin, una delle molte squadre della galassia dell’appassionatissimo patron bresciano Mario Cioli, con d.s. il toscano Franco Montanelli e il quasi suo concittadino, di Claudio, l’espertissimo Luciano Pezzi. In squadra c’erano Gian Battista Baronchelli, Franco Chioccioli, il norvegese Dag Erik Pedersen, mancato prematuramente nei giorni scorsi, e altri validi corridori d’impronta giovane.

È stato in quell’anno che, seguendo un consiglio del suo corregionale, l’autorevole Luciano Pezzi che lo sprona, anche per caratteristiche della sua struttura atletica, a "provare di girare” in pista con una certa assiduità. Accoglie il consiglio dell’esperto diesse, iniziando a frequentare la vicina Forlì, specificamente il velodromo, inserito nella struttura assai funzionale, con foresteria, dello Stadio Polisportivo Tullo Morgagni, dedicato al forlivese di nascita, giornalista di rilievo e co-fondatore della Gazzetta dello Sport.

La pista è dedicata ad un altro forlivese, Glauco Servadei (1913-1968), ottimo professionista dal 1936 al 1950. È pista all’aperto, con sviluppo di 400 metri e curve con pendenza massima di 40°, buon fondo in cemento, l’unica in terra romagnola.

E qui che avviene un incontro importante, diciamo fondamentale, per la carriera di Golinelli. Commissario Tecnico della nazionale italiana della pista, settore velocità, era un certo Antonio Maspes, titolare di sette titoli iridati nella velocità, al quale era stato affidato il compito di rilanciare il settore della specialità che viveva anni anemici, se non grami, con l’ultimo mondiale della velocità vinto dal padovano di Tombolo Giuseppe Beghetto. Era il 1968….

Maspes era a Forlì con un gruppo di velocisti in “collegiale” e il suo occhio esperto si pose su quel giovane stradista dotato di potenza e rush finale bruciante.

Fra i due, velocemente, si instaura un serrato dialogo con presupposti e fondamenti tecnici dove Maspes, con le sue capacità di convincimento e carisma, doti che non mancavano al milanese, prospetta al bolognese di provare seriamente il mestiere di velocista. E il sette volte campione del mondo fu prodigo di consigli per il giovane allievo che aderì al progetto prospettatogli. All’occhio fine di Maspes non sfuggirono le potenzialità, in prospettiva, del giovanotto con conformazione fisica-muscolare particolarmente adatta a produrre la potenza immediata, bruciante, doti indispensabili per l’esercizio dello sprint.

Come già detto era un periodo di magra per l’Italia nella specifiche specialità della pista dominate soprattutto da australiani, tedeschi, giapponesi e vari altri paesi con protagonisti solitamente caratterizzati da fisici scultorei, imponenti, con masse muscolari oltremodo sviluppate. Alcuni erano replicanti di vare rappresentazioni di modelli della serie “big Jim”, o della serie televisiva “Incredibile Hulk”, allora assai in voga.

Ed è con questi avversari che Claudio Golinelli, alto m. 1,75, gambe relativamente corte ma assai sviluppate muscolarmente, deve cimentarsi nella velocità pura e nel keirin soprattutto, in un periodo di transizione dagli allenamenti tradizionali, normali a quelli sempre più diffusi con metodologie moderne che prevedeva abbondante palestra per il miglioramento delle capacità anaerobiche e lo sviluppo delle fibre veloci. L’attività italiana sui tondini era assai limitata, per usare un eufemismo, in quanto non esistevano impianti coperti e quelli all’aperto erano in condizioni molte volte inadatte per varie ragioni. Deficit cronico in materia per l’Italia.

Il pane dei pistard sovente ha le proverbiali sette croste ma Golinelli, con tenace perseveranza e spirito d’avventura, affronta lunghe tournée in nazioni anche assai lontane, da vero e proprio “globe-trotter” - come Australia e Giappone, dove l’attività su pista era continuativa e formativa acquisendo esperienza affrontando competitori di notevole spessore conquistando credito e considerazione in un mondo dove i colpi, pure bassi, non si lesinano anche fra amici-rivali. E qui spuntano i nomi degli australiani Stephen Pate, un “duro” e tignoso avversario con il connazionale Simon Clarke, il baffuto svizzero Urs Freuler, anche ottimo stradista e il colosso tedesco della DDR Michael Hubner con altri suoi connazionali più vari sprinter di differenti nazioni.

Dopo il biennio alla Murella ne segue un altro all’Alfa Lum diretta dal bolognese Primo Franchini per poi, a partire dal 1988, passare in formazioni che fanno riferimento alla Fanini dell’appassionato patron lucchese Ivano Fanini, ossia, nell’ordine, Pepsi Cola, Polli-Mobiexport, Amore & Vita fino al 1990 e poi la tedesca Olympia nel 1991 per terminare nel 1992-93 con la maglia Basso degli omonimi costruttori vicentini di bici.

 

Dal 1985 al 1992 ha sempre rivestito la maglia azzurra ai mondiali della pista costruendo un invidiabile palmarès riassunto con l’oro nel keirin a Gand 1988, Lione 1989 con una doppietta nel medesimo torneo nella prestigiosa velocità. L’argento l’ha ottenuto per due volte nel keirin (1987 Vienna, Stoccarda 1991) mentre lo conquistò anche nella velocità a Maebashi, in Giappone, aggiungendovi anche il bronzo nel keirin nell’occasione, metallo peraltro già conquistato nella velocità a Vienna 1987.

A questi sono da aggiungere i dieci titoli italiani equamente divisi (5 + 5) fra la classica velocità e il keirin. Nel 1987, a Vienna, stabilisce il primato mondiale professionisti dei m. 200 lanciati al coperto in 10”587.

Quale professionista gareggia, seppure saltuariamente, su strada, vincendo 5 gare – di tipo veloce, ovviamente – fra cui il prologo della Settimana Siciliana 1990.

Nel 1988 una contestata e contrastata positività al doping ai mondiali l’ha amareggiato ma non l’ha fermato dopo una assai breve pausa di riflessione, come si usa dire.

Alla fine degli anni 1990 ha collaborato con la direzione delle gare di RCS Sport ma gli impegni professionali assunti al termine della carriera pedalata, quale tecnico specializzato agli impianti di refrigerazione nella zona del bolognese, l’hanno determinato a curare la professione lavorativa rinunciando, con qualche rincrescimento, ad un impegno assai più aleatorio nel ciclismo.

Segue sempre le maggiori competizioni ma, in quanto alla pratica della bicicletta, l’ha assai rallentata per impegni di lavoro e pure per ragioni di cautela personale verso le condizioni sempre più difficili del traffico veicolare.

E, in conclusione, si può dire che il disincantato, furbo ”santone” meneghino, Antonio Maspes, icona dello sprint, aveva visto giusto puntando e seguendo, con costanza e assiduità di fiducia, il suo giovane “poulain”, tradotto un puledro di razza.

Però seri problemi di salute avevano costretto Maspes ad abbandonare l’attività di C.T. che fu ereditata da un altro “volpone, o “volpino” che dir si voglia, lo scafato umbro-romano Mario Valentini, responsabile degli azzurri della pista, nel periodo dove ha costruito il suo medagliere iridato, come ricorda, tuttora con riconoscenza e viva simpatia, Claudio Golinelli.

 

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