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SENZA SAPERE CHI E' IL NUMERO UNO
di Cristiano Gatti | 27/10/2022 | 08:15

Indimenticabile 2022 che mandiamo in cantina. An­nata piena, annata movimentata, annata che per di più non chiarisce niente di definitivo e ci manda al 2023 con il dubbio più eccitante: ma allora, chi è il più forte nei grandi giri, l’uomo della nuova era, il vero numero uno di questo decennio, Pogacar o Evenepoel o Vin­gegaard?

La grande bellezza di questa fertilissima stagione - che è poi la grande tristezza per noi italiani derelitti - sta in questo prodigioso incrocio tra tre ragazzi fenomenali, il più vecchio dei quali ha 25 anni (Vinge), età che una volta per il campione era ancora svezzamento e apprendistato, mediamente. Questi tre no, non hanno aspettato niente, sono passati subito dal biberon alle costate e ai brasati, con tut­ti i denti fuori, con una forza e una resistenza e un coraggio - ma io ci metterei anche la fantasia, porca miseria, la dote più bella - senza età e senza definizioni. Hanno già vinto e stravinto di tutto. Una congiuntura eccezionale, fuori dal comune, fuori da ogni schema e da ogni programmazione: siamo nell’epoca del ciclismo lampeggiante e psichedelico, nemmeno l’avessero inventato nel metaverso in una dimensione tutta virtuale.

Ecco, una volta inquadrato il periodo eccezionale, impossibile non ricascare alla domanda iniziale: sempre parlando di grandi giri, quale dei tre è davvero il re dei re? Chi va messo anche solo di un centimetro sopra gli altri due? Diciamolo: averne, di dub­bi così. Sempre, in tutte le epoche. Restando a questa, i risultati freddi e oggettivi spingerebbero a rispondere che il numero uno è Vingegaard, per il semplicissimo fatto che ha vinto la corsa numero uno, il Tour de France, tra l’altro battendo nello scontro diretto Po­gacar. Evenepoel, che si è “limitato” a vincere la Vuelta, sarebbe così il terzo del superpodio mondiale. Ma davvero possiamo farla così semplice e pacifica? Davvero qualcuno se la sente di chiuderla così?

Sinceramente - e per fortuna - la disputa è molto più intricata e complessa. Anche per questo molto più affascinante. Oltre tutto, dobbiamo sforzarci di pensare che la gerarchia non riguarda solo il 2022, ma verosimilmente ri­guarderà tanti anni a venire. E allora, chi sarà il dominatore tra i dominatori, ammesso e non concesso che un dominatore ci sarà, che magari non finiranno invece per spartirsi il bot­tino come quest’anno, una volta l’uno e una volta l’altro, una volta qui e una volta là.

È una scelta difficile, ma è un magnifico scegliere. Remco stupisce per co­me è riuscito a riemergere dal baratro in cui era finito al Lom­bardia, per come da vero Lazzaro si è rimesso in piedi, tornando dopo quei danni spaventosi ai livelli massimi. Vin­ge­gaard è dei tre quello col braccino, appare meno, si spende meno, vince meno, anche se parlando di pura salita può ri­sultare il più letale dei tre. Po­gacar sembra il più fondista, il più resistente, il più versatile, da grandi percorrenze e da spunti rapidissimi. Al contrario, parlando di nei, a Remco sembra mancare ancora qualcosa nel fachirismo puro delle grandissime e lunghissime salite, diciamo pedestremente nel supplizio della terza settimana. A Vingegaard può mancare an­cora un po’ di incoscienza e di coraggio, di fantasia e anche di sana follia. A Pogacar si può in­vece imputare un deficit di au­tocontrollo e di misura, doti comunque necessarie a lungo termine e negli stress interminabili dei grandi giri.

Devo dire che mi viene anche un po’ da ridere cercando difetti e lacune in questi tre capolavori. Det­ti da un italiano, poi. Ma si fa per divertirci un po’ col puro e sano ciclismo, prendendoci una licenza premio dai mesi di pa­sticci cattivi e di intrighi oscuri che con le corse vere e proprie c’entrano poco. Volesse il cielo che si potesse sempre e solo parlare di campioni. Purtroppo non è così, non può essere così, perché le corse e i campioni non sono un’isola felice, una repubblica a parte, una zona franca, dove non arriva l’ombra lunga della politica e dei poteri. In ogni caso, prendendoci questa licenza, possiamo ben dire che nei prossimi giri avremo tutte le intriganti risposte che cerchiamo. Ai tre purosangue una sola richiesta: ragazzi, continuate a cercarvi e a sfidarvi senza calcoli e inibizioni, non facciamo che a un certo punto cominciate a evitarvi e a spartirvi la stagione, uno va al Gi­ro, uno va al Tour, uno va alla Vuelta. Non avete l’aria d’essere così, continuate a non averla.

Poi, a noi resta il compito più piacevole. Sce­glie­re. E siccome non è mai bello uscire da questi derby con atteggiamento democristiano, come farebbero al “Pro­ces­so” gli opinionisti senza opinioni, al grido tutti e tre fortissimi tutti e tre bravissimi, io faccio subito la mia parte: nonostante tutto, dovendo fare un nome già adesso, continuo a dire Po­gacar. Mi pare che comunque abbia qualcosa in più. Pronto fra cinque o dieci anni a dire che non ci ho capito niente. Non è un problema, non ho ambizioni da Mago Otelma. Il futuro è un libro da leggere, non da scrivere.

da tuttoBICI di ottobre

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