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OSCAR DIESSE, I MAGNIFICI 7. PIVA: «UN ANNO DA 8, ORA VOGLIAMO CRESCERE NELLE CLASSICHE»
di Giulia De Maio | 29/10/2021 | 08:10

La stagione agonistica si è appena conclusa e ancora una volta chiediamo ai lettori di esprimere il proprio voto per eleggere il miglior tecnico italiano della stagione. Insieme ad alcuni grandi saggi, abbiamo selezionato una rosa di sette tecnici per la votazione che si apre oggi, ad un mese dalla cerimonia di consegna, la Notte degli Oscar in programma il 26 novembre: potete votare sulla home page del sito, trovate il sondaggio nella parte di destra dello schermo, e avete a disposizione un voto al giorno. A partire lunedì 25, quindi, vi proporremo in rapida successione le interviste ai sette tecnici - in ordine alfabetico Baldato, Bramati, Missaglia, Pellizotti, Piva, Villa e Zanatta - per conoscere le loro valutazioni sulla stagione e aiutarvi nella scelta. I vostri voti verranno poi sommati a quelli di una giuria di esperti per arrivare all'assegnazione dell'Oscar tuttoBICI 2021. Oggi riflettori puntati su Valerio Piva.

L'Oscar tuttoBICI come miglior direttore sportivo vinto nel 2009 Valerio Piva lo sfoggia in bella mostra nella sua casa di Riemst, in Belgio, dove vive ormai da 30 anni. Mantovano di Ceresara, professionista dal 1982 al 1991, oggi ha 63 anni, di cui 19 trascorsi sull'ammiraglia di formazioni professionistiche. Ha iniziato a lavorare come tecnico nel 2002 con i giovani della Mapei, prima di approdare alla Vlaanderen-T-Interim, quindi alla T-Mobile divenuta poi HTC-Columbia. Dopo due anni con il Team Katusha, è approdato alla società di Jim Ochowicz guidando i team BMC e CCC. Da quest'anno è entrato a far parte dello staff tecnico della Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux, che nella prima stagione nel World Tour ha dimostrato un grande potenziale e centrato 9 vittorie.

Dalla prima edizione del nostro premio per i ds, quanto è cambiato?
«Molto. Io lavoravo per una squadra di primo piano, quell'anno in maglia HTC Mark Cavendish vinse la Milano-Sanremo e io ero decisamente più giovane (sorride, ndr). Ricordo che mi consegnarono il premo alla Castellina, fu una grande soddisfazione così come è un piacere scoprire che sono nuovamente candidato dopo una stagione decisamente diversa, vissuta con una formazione che è partita tra tante critiche ma nel suo piccolo è riuscita a farsi apprezzare. Abbiamo iniziato come i fratelli poveri del World Tour. In effetti non avevamo il livello e la qualità di corridori di altre squadre ma alla fine dei conti abbiamo fatto meglio di team più blasonati».

Che voto vi meritate?
«Direi un 8. Avrei messo la firma per una stagione come questa al debutto nella massima serie. Non è stato facile, siamo partiti con il piede sbagliato. Le classiche non sono andate bene, fin dall'inizio ci eravamo focalizzati sulla seconda parte di stagione e dal Giro d'Italia in poi in effetti abbiamo cambiato marcia. Al Tour de France ci siamo messi in mostra, la chicca è stata la Vuelta con la vittoria di tappa di Rein Taaramäe e 9 giorni in maglia di leader. Sull'onda dell'entusiasmo abbiamo vinto altre corse in patria. Sono soddisfatto oltre che per i risultati, per il modo di correre del gruppo. Chiaramente si può e bisogna sempre migliorare, cercheremo di farlo».

La vittoria nella terza tappa del Giro d'Italia vi ha sbloccato.
«Quella per me vale doppio perchè è stata la prima della squadra, a casa mia, in una corsa che amo. Taco Van der Hoorn quel giorno ha fatto un grande numero e ha premiato lo spirito aggressivo della squadra. Ci abbiamo provato ogni giorno, motivati e con obiettivi chiari in testa, abbiamo raccolto piazzamenti con tutti. Non avevamo il miglior velocista che potesse dire la sua allo sprint né lo scalatore più forte per le tappe più dure, l'unica strada era partire da lontano, anticipare, sorprendere. In questi ultimi due anni il ciclismo è cambiato, si corre in modo non scontato, meno controllato e le fughe arrivano più spesso. Le gare sono aperte, scoppiettanti e imprevedibili, l'antagonismo tra giovani che corrono “senza regole” come Evenepoel, Van Aert, Van der Poel e Pogacar crea interesse e appassiona. A me piace un sacco».

Come trascorre il periodo invernale un ds?
«Concluse le gare in Veneto, sono stato raggiunto in Italia da mia moglie, e ne abbiamo approfittato per passare qualche giorno insieme ai miei genitori. Una settimana dopo l'ultima gara ero già al lavoro con i miei colleghi per il 2022. Ci siamo ritrovati a Charleroi dopo il bike day organizzato per i tifosi a Binche, città sede del nostro sponsor Wanty e da cui l'anno prossimo partirà una tappa della Grande Boucle. Prima che inizi la nuova stagione c'è molto lavoro di programmazione da sbrigare: vanno definiti i calendari, non solo dei corridori. Io mi occupo dei programmi dello staff, devo suddividere il lavoro di meccanici e massaggiatori, oltre che pianificare quello dei corridori di cui sono responsabile. Un ds oggi giorno si deve occupare di logistica, abbigliamento, biciclette. È coinvolto a 360°, tira i fili di tutti i settori della squadra e passa ore davanti al computer. A novembre avremo un primo raduno in Belgio per le visite mediche e le riunioni individuali con i singoli atleti, a dicembre il primo training camp in Spagna».

Che ambizioni avete per l'anno nuovo?
«Visto che la prima parte di questa stagione non è stata delle più brillanti, l'idea è di migliorare nelle classiche. Anche per questo abbiamo ingaggiato Alexander Kristoff con cui vogliamo essere competitivi già alla Tirreno-Adriatico o alla Parigi-Nizza, alla Sanremo e alle classiche del pavè. Lo ho avuto alla Katusha, all'epoca era un talento emergente, lo ritrovo campione esperto, che dopo un anno un po' in ombra vuole ritornare ad alti livelli. Sulla falsariga di quest'anno punteremo sui giovani, a partire dall'eritreo Biniam Ghirmay che ha dimostrato grandi qualità e sarà un uomo importante per noi nelle classiche più vallonate, e da Lorenzo Rota, in cui credo molto. A San Sebastian ha avuto sfortuna e non è riuscito a centrare il risultato ma sono fiducioso sboccerà. Dobbiamo continuare a lavorare al meglio e vincere di più. Nello sport il risultato è quello che conta, se daremo il massimo io sarò contento».

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