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TRAUMA CRANICO E CICLISMO. MARINA ROMOLI: «L'ATLETA MENTE, NECESSARI TEST NEUROCOGNITIVI STANDARDIZZATI»
di Giulia De Maio | 13/05/2021 | 15:15

Dopo la spiegazione del professor Giovanni Tredici riguardo all'applicazione del protocollo adottato dall'UCI per i traumi cranici, abbiamo chiesto al riguardo un parere a Marina Romoli fresca di laurea specialistica (a pieni voti) in Neuroscienze cognitive e riabilitazione neuropsicologica con una tesi di ricerca dedicata proprio ai traumi ripetuti in cui incappa un atleta nel corso della sua carriera.

«Purtroppo non si conoscono gli effetti nel lungo periodo quindi si sottovaluta ancora questo problema e, finchè non accadrà una tragedia, temo non si interverrà in modo deciso. Il ciclismo è arrivato tardi ma finalmente ha un protocollo dedicato alle Sport Related Concussion (SRC). Un passo importante, ma sono convinta si debba fare di più per evitare rischi e danni ai corridori. La concussion crisis è nata negli Stati uniti nel 2006 grazie agli studi effettuati sui giocatori di football americano. Anche il rugby e l'hockey su ghiaccio hanno protocolli rodati da anni a cui il mondo della bicicletta deve ispirarsi» afferma l'ex ciclista e presidente della Marina Romoli Onlus.

«Ho letto quanto detto dal Professor Tredici ed effettivamente è difficile intervenire durante la gara ma nulla è impossibile e immutabile. Anche l'obbligatorietà del casco ai tempi in cui è stata introdotta sembrava una rivoluzione inaccettabile, i ciclisti all'epoca scioperarono perchè lo ritenevano scomodo quando faceva caldo mentre oggi nessuno si sognerebbe mai di pedalare senza. Non possiamo limitarci a dire è sempre stato fatto così, dobbiamo sperimentare sul campo, individuare e adeguare metodi di analisi utilizzati da altre discipline, alla fine una botta in testa è sempre una botta in testa, al di là di come è stata procurata. I ritmi di una gara di ciclismo sono frenetici ma va trovata una giusta misura visto che ne va della salute degli atleti».

Anche per la sua storia personale Marina ha studiato a fondo e con grande passione l'argomento, grazie ai suoi studi ci fornisce alcuni spunti interessanti. «Il protocollo UCI dice che il personale medico e dei team deve essere formato per riconoscere una Sport Related Concussion. A oggi l'unico modo per identificarla in breve tempo è controllare che l'atleta ci veda bene e sottoporlo alle Maddocks questions, domande semplici del tipo: chi sei? come ti chiami? dove ci troviamo? chi ha vinto la tappa ieri? Nel documentario Wonderful Losers ricordo una scena in cui i medici di gara chiedevano a un ragazzo già rimontato in sella come si chiamassero le figlie, la sua risposta non fu per nulla incoraggiante. Dopo la tappa il corridore che ha picchiato la testa va sottoposto allo SCAT V test, un esame veloce di screening della SRC che richiede 10'-15' e va ad analizzare tutte le capacità cognitive (memoria, linguaggio...) oltre ai sintomi riportati. Se questa mattina Joe Dombrowski non è ripartito è perchè l'Esame Obiettivo Nerologico (EON) ha evidenziato che qualcosa non andava e i sintomi non sono rientrati, ma questo non è sufficiente».

Il corridore americano, probabilmente inconsapevolmente, negli ultimi 4 km percorsi dopo la caduta ha messo a repentaglio la sua salute e quella degli altri girini visto che aveva problemi di equilibrio dovuti al forte impatto. Sarebbe potuto ricadere. «Avesse preso un'altra botta in testa dopo averne appena rimediata una avrebbe aumentato la gravità della commozione cerebrale o potuto causare una lesione interna» conferma la dottoressa Romoli.

«La questione è complessa. A differenza di un giocatore di rugby un ciclista non può esser sostituito, nessuno può entrare in campo al suo posto, quindi va elaborato uno screening veloce per identificare le commozioni cerebrali. Dal mio punto di vista suggerirei di concentrarsi sui movimenti oculari e test cognitivi veloci che sono in corso di sperimentazione in altri sport. Da diversi studi su ampi campioni di atleti è stata evidenziata una correlazione tra effetti sulle abilità cognitive/nei movimenti oculari a lungo termine e ripetuti traumi cranici, anche di lieve entità. Esistono eyes-tracker che una volta indossati, in base a come si muovono gli occhi, possono fornire un feedback rapido. Perchè siano attendibili e pronti all'uso bisogna investire in ricerca. Un ente come l'UCI dovrebbe prendere posizione e avviare una sperimentazione al riguardo».

Nel trauma cranico spesso è il network parieto-frontale ad essere impattato e questo è alla base della capacità di prendere decisioni in situazioni complesse, quindi l'atleta che incappa in una SRC potrebbe non essere in grado di comprendere se è realmente in grado di poter riprendere a gareggiare. Un caso eclatante fu quello che riguardò Tom Skujins al Giro di California 2017.

Altri sport controllano e proteggono molto di più la testa dei propri atleti, che però dovrebbero essere i primi a salvaguardare la propria incolumità. «I giocatori di football americano, rugby e hockey vengono sottoposti ad alcuni esami prima di iniziare la stagione, quando stanno bene, per avere dei dati di partenza da confrontare con quelli rilevati dopo un incidente e capire se effettivamente hanno riportato un crollo delle prestazioni neurologiche. Sapete però cosa fanno certi atleti? È stato dimostrato che performano apposta molto male agli esami pre season così da poter continuare a giocare anche dopo una concussion. Nella foga di una gara, un corridore non si fermerà mai volontariamente. Bisogna sensibilizzare sulla gravità dei traumi cranici e trovare soluzioni per ridurli al minimo». 

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