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ADORNI. «VI RACCONTO I 75 ANNI DEL MIO MERCKX»
di Angelo Costa | 17/06/2020 | 08:05

Per capire che razza di fenomeno sia stato Eddy Merckx, che oggi festeggia 75 anni, basta sfogliare gli albi d’oro delle corse: tranne Parigi-Tours e Campionato di Zurigo, le ha vinte tutte, anche più volte. Per comprendere il ciclista passato alla storia come Cannibale per la voracità in gara bisogna rivolgersi a Vittorio Adorni: è stato lui a dare al fuoriclasse belga i consigli giusti per una carriera che non ha eguali. «L’ha detto lui, quando era già diventato Merckx. Ai giornalisti dichiarò: se non avessi avuto al fianco Adorni, non sarei quello che sono. Mi ha insegnato in un anno quanto non si impara in una vita», racconta il campione di Parma, vincitore di un Giro e di un Mondiale, oggi ambasciatore del ciclismo a 82 anni portati brillantemente.

Adorni, quando ha conosciuto Merckx?
«L’anno chiave è il 1968, quando nasce la Faema, metà belga e metà italiana. Anche se al primo raduno, in Calabria, Eddy non c’era: doveva sposarsi, si presentò dopo».

Quando capì che era un fenomeno?
«Appena arrivò. Dissi agli altri italiani che da fresco sposo Eddy avrebbe avuto le gambe molli, così al primo allenamento lo stuzzicammo in salita: smettemmo subito, capii che aveva qualcosa più di noi e ci avrebbe piantato lì tutti».

Fu in quel ritiro che diventò il suo tutor?
«Eravamo in camera assieme. Gli dissi: sei già campione del mondo, ma non hai vinto nulla. Se vuoi ti aiuto a conquistare una corsa a tappe, però devi fare quel che dico io».

E lo fece.
«Il patto era di guardarmi prima di prendere iniziative: a furia di girarsi, rischiava il torcicollo. Gli facevo sempre segno di no per tenerlo a freno, la prima volta che gli ho detto sì ha fatto il vuoto, vincendo il giro di Sardegna».

Solo consigli tattici?
«No, il corso è stato completo. Dopo la prima tappa al Giro d’Italia, in cui prese la maglia rosa, lo trovai in camera con i compagni belgi a festeggiare con biscotti e birra. Gli spiegai tutto, dall’alimentazione a come comportarsi nella vita privata».

La ringraziava?
«Non apertamente, ma dimostrarmi di aver capito tutto era una forma di riconoscenza. Un giorno mi disse: nemmeno mio padre mi tratta così. Gli risposi: tuo padre non ha fatto il ciclista».

La soddisfazione più bella?
«Tappa delle Tre Cime di Lavaredo. Lui parte da lontano senza guardarmi, io urlo al ds Vigna di andare a fermarlo, se necessario anche con l’auto. Eddy attende, quando lo affianco ha uno sguardo che buca come un laser. Non era il momento, gli dico. Il momento arriva più avanti: quando gli do via libera, si toglie tutti da ruota e va a vincere il Giro sotto la neve».

Cosa le ha detto dopo?
«Mi ha chiesto: come sapevi che avrei potuto fare il vuoto? Risposi che erano due settimane che lo tenevo al guinzaglio…».

Come si spiega il cannibalismo di Merckx?
«Dote innata. Aveva una grinta smisurata, piuttosto che mollare moriva».

Un esempio?
«Circuito in Francia. Poco dopo il via, Eddy attacca. Dopo un paio di giri, sento fischiare alle mie spalle: era lui. Ricordo che Anquetil commentò: non è possibile. Invece Merckx aveva tanta energia che poteva spenderla anche nelle gare insignificanti».

L’eterno dilemma: più forte lui o Coppi?
«Non c’è risposta, Eddy non c’entra nulla con Fausto, e non solo perché erano tempi diversi. Merckx era sovrumano, ha fatto cose incredibili: quando partivi, sapevi che avrebbe bastonato tutti. Forza, potenza, volontà: aveva tutto».

Compagni per un anno: perché così poco?
«Gli avevo promesso che sarei rimasto con lui fino al termine della mia carriera. Poi, dopo il successo nel Mondiale, arrivò la Scic e mi costruì intorno una squadra, a casa mia. Eddy capì».

Siete rimasti amici?
«Eccome. Ci sentiamo di frequente, ci vediamo spesso, anche con le famiglie. Claudine, sua moglie, anche adesso mi dice: convinci tu Eddy, è un testone…».

Adorni, è vero che Merckx in bici ancora oggi non ci sta a perdere?
«Sì. Pedalava spesso, poi un anno fa è caduto e ha battuto la testa. Non so se abbia ripreso, comunque i medici gli hanno detto di non forzare».

Non dovesse ascoltarli, basta chiamare Adorni.

da Il Resto del Carlino a firma di Angelo Costa

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