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DODICI FACCE DA FIANDRE. «IO VINCO PERCHÉ...»
di Angelo Costa | 06/04/2019 | 10:31

A chiudere quella che per i fiamminghi è la Settimana Santa arriva il giro delle Fiandre: non una semplice corsa, ma un vero e proprio culto. Così si spiega perché la prima domenica di aprile scenda sulle strade, con qualsiasi tempo, un belga su dieci, quasi un milione di persone: qualcuno, pur di esserci, è disposto a spendere fino a trecento euro per un posto alla partenza o su uno dei ‘muri’, come il Vecchio Kwaremont o il mitico Grammont, dove si aspetta il passaggio dei corridori mangiando cozze e patatine fritte e bevendo birra.
Diciassette gli strappi, metà dei quali negli ultimi 50 chilometri, con cinque tratti di pavé che non sarà quello della campagna francese, ma alla fine richiede ugualmente forza e abilità: è il menù distribuito su 267 chilometri da Anversa a Oudenaarde da una classica che, come tutte le cinque considerate ‘monumento’, porta il vincitore nella storia. Per questo la vogliono correre anche i campioni che non l’hanno mai affrontata: un anno fa Nibali, quest’anno Valverde, che vi debutta a 38 anni con l’iride addosso. Dei tanti che possono rincorrerla, ecco le dodici facce che hanno più chances degli altri.
 
Zdenek Stybar. Vince perché è in un momento di forma perfetta, perché in tutte le prove generali di questa corsa è puntualmente arrivato davanti, perché ha già vinto in Belgio quest’anno. Non vince perché nel finale di un viaggio così lungo potrebbe mancargli qualcosa, come è già successo.
Greg Van Avermaet. Vince perché c’è già andato vicino due volte, perché non vince in casa da due anni, perché dal 2012 in questa classica, a parte un ritiro, non è mai uscito dai primi sette. Non vince perché la sua giornata perfetta spesso coincide con quella leggermente migliore di uno dei rivali.
Nike Terpstra. Vince perché l’ha fatto l’ultima volta, perché su queste stradine si trova come nel letto di casa, perché è uno che sa sempre scegliere il tempo giusto per decollare. Non vince perché non avere accanto uno squadrone come la Deceuninck fa una bella differenza.
Philippe Gilbert. Vince perché è quello che conosce meglio di tutti questa corsa, perché una volta l’ha vinta e altre tre l’ha chiusa al terzo posto, perché fin qui si è messo al servizio dei compagni. Non vince perché la sua squadra ha tante frecce e una magari viene scoccata prima di lui.
Wout Van Aert. Vince perché corre le classiche davanti e lo ha fatto anche alla Sanremo, perché è pronto per un grande traguardo, perché da crossista ama questo percorso. Non vince perché  potrebbe pagare la lunghezza di uno sforzo più lungo che nel fuoristrada.
Mathieu Van der Poel. Vince perché nelle prove generali è apparso in stato di grazia, perché sembra non far fatica, perché dopo un inverno da cannibale nel ciclocross si sente pronto anche su strada. Non vince perché, come Van Aert, per abituarsi a corse così lunghe ci vuole tempo.
Peter Sagan. Vince perché è una corsa a eliminazione, perché l’ha già conquistata tre anni fa, perché quando riesce a non presentarsi come uomo da battere lo diventa. Non vince perché la lunga fuga alla Gand-Wevelgem non era un allenamento mascherato, ma mascherava una forma non al top.
Alexander Kristoff. Vince perché è uomo di potenza e fondo, perché ha appena centrato la Gand-Wevelgem, perché se in sette edizioni non è mai sceso sotto il sedicesimo posto qualcosa vorrà dire. Non vince perché chi è meno veloce di lui in volata farà di tutto per staccarlo prima.
Matteo Trentin. Vince perché ha iniziato alla grande la stagione, perché è il più adatto dei nostri alle classiche del Nord, perché la Sanremo gli ha insegnato ad aspettare l’attimo giusto. Non vince perché correre da soli contro intere corazzate rende più faticosa una corsa che lo è già di suo.
Oliver Naesen. Vince perché è una classica dura come ama lui, perché sta benone, perché il secondo posto di Sanremo e il terzo alla Gand Wevelgem sono prove e non indizi. Non vince perché, oltre agli avversari, deve superare la bronchite ‘da champagne’ e il peso del pronostico che non ha mai portato.
John Degenkolb. Vince perché si è finalmente lasciato il periodo nero alle spalle, perchè ha ricominciato a mettere il naso in prima linea, perché dopo la Sanremo la sorte deve restituirgli qualcosa. Non vince perché sui ‘muri’ non sempre riesce a esser gatto come servirebbe.
Alberto Bettiol. Vince perché ama correre al Nord, perché arriva alle classiche con la salute che desiderava, perché ha attorno una squadra che crede in lui. Non vince perché non riesce ad esser freddo e qualche volta butta via energie che potrebbero tornargli comodo al momento decisivo.

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