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L'ORA DEL PASTO. «UNA VITTORIA CI SAREBBE STATA PROPRIO BENE»
dalla Redazione | 06/02/2019 | 07:50

La vittoria l’ha sognata e desiderata, inseguita e cercata, accarezzata e sfiorata. Ma non l’ha mai conquistata. Come quel secondo posto alla Milano-Vignola del 1959: 252 chilometri, fuga in otto, poi volata in leggera salita, a un centinaio di metri dall’arrivo un motociclista cade, proprio dalla sua parte, lui frena, riparte, rimonta e arriva a un niente dal primo, Adriano Zamboni. Come quel terzo posto al Giro dell’Appennino del 1959: 232 chilometri, i Giovi e la Bocchetta, poi la volata a Pontedecimo, primo Silvano Ciampi. Come quel quinto posto in una tappa, la diciassettesima, del Giro d’Italia del 1959: la San Pellegrino-Genova, 241 chilometri, volatona nello stadio della Nafta, primo Arrigo Padovan. Come quel quinto posto al Giro del Veneto del 1957: in fuga, l’arrivo in pista, a Padova, primo Angelo Conterno. Come quel quinto posto alla Coppa Bernocchi del 1960: 241 chilometri, un’altra volata, primo Pippo Fallarini.

Sabato 9 febbraio Nello Velucchi compirà 83 anni. Aretino di Vitiano (“Un paesettino di poche case”), papà falegname, mamma sarta e poi casalinga, tre sorelle e finalmente un maschio, lui (“A casa si festeggiò a lungo”), quinta elementare (“Dopo di che andai in tante altre scuole, ma non ne ho mai finita una perché prendevo la bicicletta e saltavo le lezioni”). La prima bici da corsa non si scorda mai: “Una Ganna, con un telaione che arrivavo appena appena ai pedali”. La prima corsa neanche: “Ero troppo giovane per correre, mi truccarono il tesserino, entrai nell’Assi di Arezzo, la prima gara – con il numero – fu a Castiglion del Lago, sul Trasimeno, una cronometro, si partiva dal Lido, si arrivava al paese, si faceva a batterie, c’erano anche i dilettanti, e la vinsi”. La passione era infinita: “Alle corse si andava e si tornava in bici, un po’ per risparmiare, un po’ perché si gareggiava in certe periferie dove il treno non arrivava”. Allora vinceva: “Da allievo, da dilettante. Anche un Gran premio Città di Camaiore. Quella sera mi arrivò una telefonata interurbana, da Padova, dall’Atala, per passare professionista. Non chiedevo altro”. L’esordio al Giro di Lombardia del 1956, 240 chilometri: “Tutto il giorno davanti con i primi, nel finale cedetti un po’. Arrivammo a Milano, entrammo nel Vigorelli. Nessuno me lo aveva detto. La pista, la folla, il boato. Rimasi folgorato. E per l’emozione, più che per la fatica, smisi di pedalare”. Ventiquattresimo a 4’14” da André Darrigade su Fausto Coppi e Fiorenzo Magni.

Che bello il ciclismo: “Scalatore, ma in volata mi difendevo”. Che bello il ciclismo: “Da allievo incontravo Gino Bartali che si allenava, e per un po’ cercavo di stargli dietro. Da professionista ci si allenava insieme alla squadra in febbraio in Riviera, poi da solo, o con Idrio Bui, che abitava in zona”. Che bello il ciclismo: “Quando si va in bici, è tutto duro, anche un cavalcavia. Le cotte si faceva presto a prenderle, all’improvviso rimanevi senza mangiare e senza forze e dovevi arrangiarti”. Che bello il ciclismo, nonostante tutto: “Due Tour de France. La prima volta rimasi coinvolto in una caduta, arrivai al traguardo un secondo – dico: un secondo - fuori tempo massimo e venni escluso. La seconda volta rimasi vittima di un’altra caduta, bestiale, mi feci male, mi ritirai”. Che bello il ciclismo, anche da gregario: “Siccome non ero capace di sgomitare nelle fontane e neanche di rubare nei bar, il mio compito era assistere i capitani e spingerli in salita. Le spinte erano di moda”. Che bello il ciclismo, anche da ignorante: “I direttori sportivi non mi dicevano nulla, imparavo il mestiere comandato dai vecchi durante la corsa”.

Velucchi ha vissuto con Fausto Coppi (“Fuga a due al Trofeo Matteotti del 1959. In cima a una salitella c’era un traguardo, mi impegnai, lo battei, mi domandò se l’anno dopo volessi andare nella sua squadra”) e Franco Bitossi (“Io alla fine, lui all’inizio”), con Vito Taccone (“Uno rustico”) e Rik Van Looy (“Uno bestiale”). Finché smise: “Nel 1963. Poi io dirigente di un supermercato e mia moglie con un negozio di abbigliamento per bambini. A Scandicci”. Rimpianti? “Ma no. Però una vittoria ci sarebbe stata proprio bene”.

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