Quella volta che: “Giro d’Italia 1968, dodicesima tappa, Gorizia-Tre Cime di Lavaredo, 213 km e l’arrivo in montagna, freddo e neve. In salita uno spettatore mi dette una spinta e, quando stava per mollare, gli chiesi chi era il primo. Jimenez, mi rispose, spingendomi. Quando stava per mollare, gli chiesi chi era il secondo. Gimondi, mi rispose, spingendomi. Quando stava per mollare, gli chiesi chi era il terzo. Stavolta non riuscì a rispondermi, e neanche a spingermi: era crollato a terra”.
Giuseppe Poli era l’ospite d’onore alla prima edizione del Festival del ciclista lento, organizzato da Guido Foddis con il sostegno dell’Ascom, lo scorso fine settimana, a Ferrara. Proprio in quel Giro, 49 anni fa, Poli chiudeva la classifica generale al novantesimo e ultimo posto, a 3.43’58” da Eddy Merckx. Poli, detto Tango, e Merckx, detto il Cannibale. Poli, maglia nera, e Merckx, maglia rosa.
Quella volta che: “Giro di Abruzzo, ancora da dilettante. Arrivai tardi alla partenza perché ero rimasto in albergo, in camera, con una ragazza. Insomma: una sveltina. Lei mi dette il suo indirizzo, io il mio. Il suo lo persi, il mio era falso”.
Poli ha 75 anni, è ferrarese di Santa Maria Codifiume, abita a Bologna. Ventotto vittorie da dilettante, e zero, in due anni, da professionista. Zero anche i rimpianti. Germanvox e Gbc le sue squadre. Se solo avesse avuto un po’ di testa, un po’ di voglia, anche un po’ di fortuna, la sua carriera, e anche la sua vita, sarebbe stata ben diversa. E’ che la testa e la voglia c’erano, ma per altre cose, e quanto alla fortuna, era comunque poca.
Quella volta che: “L’idea di arrivare ultimo non fu mia ma del direttore sportivo, Lupo, Lupo Mascheroni, che alla Legnano era il meccanico ma che alla Germanvox faceva, dal direttore sportivo a meccanico, tutto. Visto che non puoi arrivare primo, meglio arrivare ultimo. Per riuscirci mi nascondevo fra la gente, nell’ultima tappa in un bar. Vinsi per pochi secondi su un francese, Gilles Locatelli, gregario di Julio Jimenez”.
Sincero e spontaneo, divertito e divertente, Poli si è raccontato, incantando la platea, protagonista e testimone di un ciclismo che era avventura, soprattutto nelle disavventure e nelle sventure. Un tipo alla Venturelli, Romeo Venturelli detto Meo: “Uno di quelli che ne combinava tante, forse troppe. Lo ricordo che si allenava per rientrare, poi fece una corsa, forse due, o forse no, e comunque non rientrò”.
Quella volta che: “Merckx era un campione, andava come una moto, vinceva dove voleva. Ma un traguardo volante lo vinsi anch’io: era fissato proprio nel mio paese, lo dissi in gruppo, mi lasciarono via libera, arrivai da solo, braccia al cielo, trionfante”.
Marco Pastonesi