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FACCE DA GIRO
di Angelo Costa | 07/05/2021 | 07:48

E’ un Giro d’Italia 2021 con una crono in meno e una squadra in più, con tappe più corte (solo quattro superano i duecento chilometri) e la Puglia come unico assaggio di Sud. E’ un Giro con la prima donna al commento tecnico e senza il vincitore dell’edizione precedente, come ormai accade da tre anni. E’ un Giro che trascura gli specialisti contro il tempo (9 chilometri il primo giorno a Torino, 30 l’ultimo a Milano) e privilegia chi va forte in salita (otto le tappe dure, altrettanti gli arrivi in salita). E’ un Giro che celebra ricorrenze (i 160 anni dell’Unità d’Italia, i 700 anni della morte di Dante) e non dimentica i grandi personaggi come Gino Bartali e Alfredo Martini, del quale ricorre il centenario della nascita. E’ un Giro dove bisognerà far subito sul serio, perché di montagne ce ne sono in Emilia, nelle Marche e in Abruzzo e dove si può cominciare a perdere sullo sterrato ben prima della terza settimana, comunque destinata a dare sentenze. E’ un Giro dove i tre nomi più illustri (Bernal, Nibali ed Evenepoel) arrivano da convalescenze più o meno lunghe mentre i loro sfidanti sembrano tirati a lucido: ecco le facce che nelle prossime tre settimane nel bene o nel male regaleranno emozioni.

FACCE DA PODIO

Egan Bernal. Vince perchè è uno dei più forti nelle corse a tappe, perché correre il Giro è un desiderio che culla da parecchio tempo, perché vuole rendere omaggio all’Italia per averlo lanciato come ciclista. Non vince perché la schiena ancora lo tormenta e due mesi senza gare non aiutano.

Vincenzo Nibali. Vince perché è la corsa che conosce meglio di tutti, perché in nove partecipazioni ha chiuso sei volte sul podio con due vittorie, perché la rincorsa per esserci dopo la frattura alla mano gli ha dato ancora più motivazioni. Non vince perché 36 anni sembrano tanti al cospetto delle nuove generazioni.

Remco Evenepoel. Vince perché i fenomeni vogliono tutto e subito, perché il primo grande giro in carriera lo stimola e non lo spaventa, perché dopo l’incidente al Lombardia non vedeva l’ora di tornare a correre. Non vince perché non gareggia dallo scorso agosto e tre settimane sono un esame tosto anche per i migliori.

Simon Yates. Vince perché si presenta nella forma migliore di sempre, perché sa far tesoro degli errori delle edizioni precedenti, perché vuole rifarsi dopo essersi fermato subito lo scorso anno perché contagiato dal covid. Non vince perché ogni volta che vede rosa un giorno nero lo incrocia sempre.

Aleksander Vlasov. Vince perché è pronto per farlo, perché un Giro con molte salite e poca crono gli sta come un vestito, perché in ammiraglia ha un ds come Martinelli che sa meglio di tutti come si arriva in cima al podio. Non vince perché a 25 anni non è facile correre un grande giro senza fare errori.    

Jay Hindley. Vince perché ha dimostrato un anno fa di essere in grado di farlo, perché stavolta si presenta per far la punta e non per aiutare, perché è capace di correre nell’ombra e di saltar fuori quando conta. Non vince perché i grandi favoriti hanno ancora qualcosa in più di lui.

Marc Soler. Vince perché a 27 anni ha l’età per riuscirci, perché la Movistar l’ha cullato in questi anni proprio con questo obiettivo, perché finalmente ha quei gradi di capitano che pretendeva da tempo. Non vince perché spesso i nervi hanno il sopravvento sulle sue qualità.

Mikel Landa. Vince perché mai come stavolta è determinato a farlo, perché ha un team forte e compatto al fianco, perché esser già stato sul podio gli dà la convinzione di poterci tornare. Non vince perché ogni volta che gli toccano i panni di leader della squadra finisce per sentirseli scomodi.

Joao Almeida. Vince perché è un corridore competitivo su ogni terreno, perché quindici giorni in maglia rosa lo scorso ottobre gli hanno dato la consapevolezza di potersela giocare, perché ha ancora margini di miglioramento. Non vince perché è di quelli che nei primi dieci stanno bene, senza riuscire a dominare.

Domenico Pozzovivo. Vince perché un Giro così aperto premia chi è bravo a star davanti, perché i suoi 38 e passa anni non li dimostra proprio, perché senza placche e chiodi può finalmente correre senza problemi. Non vince perché anche chi è bravo ad amministrarsi un giorno storto prima o poi lo trova.

FACCE DA OUTSIDER

Hugh Carthy. Vince perché è di quelli che non ti aspetti, perché il profilo di una corsa con tante salite lo fa sorridere e non preoccuparsi, perché il podio all’ultima Vuelta gli ha dato la certezza di poter puntare in alto. Non vince perché gli manca la continuità che in tre settimane fa la differenza.

Dan Martin. Vince perché è uno che nei grandi giri è sempre al passo dei migliori, perché è di quelli che fa della resistenza la sua arma migliore, perché se la sua squadra l’ha scelto come leader qualcosa vorrà dire. Non vince perché al Giro non viene da sette anni e qui avrà a che fare anche con i giovani rampanti.

Romain Bardet. Vince perché è uomo di montagna e qui ne ha a sufficienza, perché quando debutti a trent’anni in un grande giro lo fai per un buon motivo, perché ha l’esperienza di uno che al Tour è sempre stato protagonista. Non vince perchè non sembra così brillante per mettere all’angolo la concorrenza.

Bauke Mollema. Vince perché quando si presenta alle corse è una garanzia, perché sulle strade rosa non ha mai fatto peggio del dodicesimo posto, perché nella prima parte di stagione si è calibrato al punto giusto. Non vince perché se Nibali prenderà in mano la corsa gli toccherà dare una mano.

Fausto Masnada. Vince perché il Giro l’ha sempre corso bene, perché nello scorso ottobre ha chiuso nei dieci sacrificandosi per Almeida, perché si presenta in condizioni di forma eccellenti. Non vince perché la squadra conosce le sue qualità e preferisce sfruttarle per spingere i leader designati.

Matteo Fabbro. Vince perché su un percorso del genere ha l’occasione di mostrare le sue qualità, perché al debutto in ottobre ha chiuso nei primi 25 sacrificandosi per la squadra, perché in questa stagione ha dato segnali di vivacità. Non vince perché la prima punta della squadra è Buchmann e dovrà prima di tutto pensare a lui.

Jefferson Cepeda. Vince perché è uno che in salita non teme nessuno, perché il primo Giro gli è servito per capire in che acqua dovrà nuotare, perché ha una squadra accanto che gli lascia carta bianca. Non vince perché a 22 anni serve un’esperienza che ancora non ha.

Davide Formolo. Vince perché si presenta nella forma giusta dopo aver lavorato tanto per i compagni, perché è l’unica vera punta della sua squadra, perché ha la maturità per riuscirci. Non vince perché non ha ancora deciso se essere un corridore da corse a tappe o da classiche.

George Bennett. Vince perché ha le caratteristiche adatte per un Giro come questo, perché l’ultima volta in Italia ha chiuso nei primi otto, perché vuol dimostrare che la Jumbo nei grandi giri non è soltanto Roglic e Van Aert. Non vince perché contro gli squadroni dei big dovrà far tutto da solo.

Pello Bilbao. Vince perché sulle strade italiane è capace di dare il meglio, perché nelle gare di avvicinamento ha mostrato una forma già brillante, perché va forte in salita, in discesa e anche a cronometro. Non vince perché gli ordini di scuderia gli imporranno prima di tutto di sacrificarsi per Landa.

Damiano Caruso. Vince perché arriva pronto al punto giusto, perché aver chiuso un Tour nei primi dieci gli ha dato un credito nei confronti della squadra, perché è bravo a far classifica anche restando vicino al suo leader. Non vince perché con Landa e Bilbao la concorrenza in famiglia è il primo ostacolo.

FACCE DA SPRINT

Caleb Ewan. Vince perché qui l’ha già fatto tre volte, perché non è di quelli che per arrivare al traguardo devono per forza salire su un treno, perché in questa stagione ancora gli manca un traguardo di prestigio. Non vince perché un anno storto può capitare a tutti.

Elia Viviani. Vince perché il Giro è una corsa che lo ispira, perché di tappe ne ha già portate a casa cinque, perché fare centro sulle strade rosa sarebbe anche una bella motivazione per la spedizione ai Giochi. Non vince perché da quando corre in Francia non gli riesce più facile.

Giacomo Nizzolo. Vince perché una tappa al Giro è un traguardo che gli manca, perché non gli basta la classifica a punti, perché ha pur sempre una maglia da campione europeo da esibire sul podio. Non vince perché trova sempre qualcuno pronto a chiudergli la strada.

Dylan Groenewegen. Vince perché dopo nove mesi di squalifica vuol subito riprendere a farlo, perché al debutto in Italia vuol subito lasciare il segno, perché non troverà una concorrenza spietata. Non vince perché presentarsi al via senza aver gareggiato dall’estate scorsa inevitabilmente lo frenerà.

Matteo Moschetti. Vince perché ancora in un grande giro non l’ha fatto, perché ha l’esperienza per poterlo fare, perché è uno che su certi arrivi è capace di arrangiarsi anche da solo. Non vince perché qualcuno che ha un briciolo di sprint in più lo trova sempre.

FACCE DA ASSALTATORI

Peter Sagan. Vince perché ha un altro passo quando c’è da attaccare o giocarsela allo sprint, perché rispetto a un anno fa si presenta meno stanco, perché dopo lo stop per il covid ha voglia di tornare primattore. Non vince perché quando una stagione comincia male c’è il rischio che prosegua peggio.

Gianni Moscon. Vince perché è tornato quello di qualche anno fa, perché al Tour of the Alps ha mostrato di avere una condizione ottima, perché ha voglia di dare di sé un’immagine vincente. Non vince perché la squadra per proteggere Bernal non gli concederà troppa libertà.

Giulio Ciccone. Vince perché è uno che al Giro l’ha già fatto due volte, perché quando è ora di muoversi non se lo fa ripetere due volte, perché come arma tattica è votato a spingersi all’attacco. Non vince perché dovrà sacrificare molte energie per i compagni chiamati a far classifica.

Diego Ulissi. Vince perché è quello che di successi di tappa ne conta più di tutti (otto), perché alcuni arrivi di questa edizione sembra disegnati apposta per lui, perché dopo un inverno tribolato ritrovare la salute è una motivazione in più. Non vince perché esser ripartito in ritardo ha il suo pedaggio.

Enrico Battaglin. Vince perché con tre successi in bacheca è tra i plurivincitori, perché può farlo sia da solo che negli arrivi ristretti, perché ricominciare da casa Reverberi può restituirgli la tranquillità necessaria. Non vince perché anni da gregario ne hanno un po’ fiaccato gli egoismi.

FACCE DA FUTURO

Filippo Ganna. Vince perché è il più forte cronoman in circolazione, perché è un predestinato al successo, perché è un campione che sta crescendo su tutti i fronti e non solo nelle prove contro il tempo. Non vince perché i compiti di squadra gli costano qualche energia di troppo.

Giovanni Aleotti. Vince perché è un ragazzo di talento, perché non fai secondo al Tour de l’Avenir se non hai qualcosa dentro, perché al primo anno tra i pro ha finito tutte le gare a tappe alle quali ha partecipato. Non vince perché da debuttante deve pensare soprattutto ad imparare.  

Clement Champoussin. Vince perché ha le qualità per esser protagonista anche nelle tappe dure, perché a 22 anni sembra già molto avanti con i lavori, perché è uno abituato a respirare l’aria delle zone alte della corsa. Non vince perché come ogni debuttante ha l’incognita della terza settimana.

Tobias Foss. Vince perché è uno che si comporta bene su tutti i terreni, perché non si arriva nei primi quindici alla Tirreno-Adriatico solo per caso, perché crescere accanto ai campioni gli abbrevierà la strada. Non vince perché qui dovrà aiutare la squadra cercando di cogliere l’occasione propizia.

Natnael Tesfatsion. Vince perché è uno dei talenti da scoprire, perché ha dimostrato di saper andar forte anche fuori dalla sua Africa, perché è sempre divertente quando i telecronisti devono affrontare un ciclista dal nome complicato. Non vince perché un grande giro è più complicato di una corsa di giornata.

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