La sua prima bici? “Aveva le rotelline, ed era un privilegio, un lusso, una rarità, tant’è che era l’unica bici con le rotelline in tutto il paese, anzi, forse in tutta la valle”. La sua prima bici da corsa? “Quella di mio fratello Aldo, e siccome correva per la Gbc, e siccome allora le squadre compravano le bici, sulla bici era stampato Gbc, come se ne fosse il marchio o la marca”. E la prima delle sue 273 vittorie (su strada) da professionista? “Il circuito di Col San Martino, in provincia di Treviso, ma la prima importante fu la tappa Bolsena-Firenze al Giro d’Italia, sempre nel 1973, l’anno dell’esordio”.
Francesco Moser, l’altra sera, a Cesenatico. Una cena per raccogliere fondi a favore dell’Associazione italiana contro la leucemia, di cui lui è testimonial. Parole rotonde per ricordare, raccontare, spiegare. Lui e i suoi undici fratelli. Lui a un circuito degli assi in cui c’era non solo il fratellone Aldo ma anche Fausto Coppi. Lui e i suoi compaesani, su un carro, a vedere i corridori alla partenza della Direttissima della Paganella, una funivia che dai 220 metri di Lavis arrivava ai 2080 della Paganella, così verticale (pendenza massima oltre il 100 per cento: era chiamata “l’ascensore delle Dolomiti”) da far venire le vertigini anche agli alpinisti. Lui dietro ad Aldo, Enzo e Diego, e poi davanti, a tirare il gruppo, la famiglia, la corsa, la cordata.
Moser si sdoppia e si raddoppia, si triplica e si moltiplica. Non c’è domanda cui si sottragga, non c’è risposta in cui non regali un titolo, non c’è invito cui riesca a dire di no, se non per forze di causa maggiore, come l’impossibilità della ubiquità. Anche se qualche volta ha sfiorato il miracolo apparendo in un video, partecipando con un audio, condividendo con un saluto, o con una maglia, o con una bottiglia. E non c’è appassionato cui neghi una foto, un autografo, un sorriso, una battuta. E non c’è platea – bar, teatro, piazza, marciapiede, salone d’onore, podio, palco – in cui non si trovi a suo agio, da protagonista.
Moser – richiesta inevitabile, in questi giorni di luglio – al Tour de France: “Nel 1975, e fu l’unica volta. La partenza dal Belgio, un cronoprologo, poco più di 6 chilometri, troppo poco per essere considerata tappa. Feci il migliore tempo. Quando salii sul palco per indossare la maglia gialla, gli addetti stavano staccando l’adesivo della Molteni. Avevano già data per scontata la vittoria di Eddy Merckx”.
Campione fra i campioni, Moser: mai fatto il gregario? “Una volta, in Francia, al Midi Libre, nel 1978, per il mio compagno Claudio Bortolotto. Conquistò la maglia gialla, ma l’ultimo giorno andò in crisi, in montagna, lui che era uno scalatore. E per salvare il primato, mi misi a sua disposizione, in salita, io che scalatore non ero”.
Ha compiuto 66 anni, lo Sceriffo. A tavola, fra l’ex c.t. della Nazionale di calcio Azeglio Vicini e l’ex allenatore di Milan, Inter e Juve Alberto Zaccheroni, si agita, si prodiga, si fa in quattro. Dove trovi ancora tutta questa voglia, questa curiosità, questa energia, non si riesce a immaginare. Ma si può immaginare quanta ne liberasse sui pedali, asfalto pavé parquet, fughe volate inseguimenti, giri classiche campionati, dalla prima all’ultima del calendario. Moser, Moserone, Moserissimo.
Marco Pastonesi