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SALVATO. «NON VI È PIACIUTO IL GIRO? IO DICO CHE SONO ANDATI FORTISSIMO. E SULLA TAPPA DEL MORTIROLO...»
di Pier Augusto Stagi | 01/06/2022 | 14:00

È presidente del sindacato dei corridori italiani da nove anni (2014, ndr), ma Cristian Salvato fa parte della famiglia Accpi sin dal 2010. Ex corridore professionista da metà Anni Novanta ai primi del Duemila, Salvato è tipo sanguigno e passionale, che non ci sta quando le critiche si abbattono – a suo dire - ingiustamente sui corridori.

Presidente, lei al Giro si è divertito?
«Moltissimo. Mi sembra che sia stata una corsa dura e combattuta: dall’inizio alla fine. Chiaro, noi vorremmo vedere battaglie tutti i giorni, ma questo è possibile solo alla playstation».

Forse, però, ci si aspettava qualcosa di più nelle tappe dell’Aprica, con il Mortirolo e a Lavarone…
«Ma i corridori sono andati indipendentemente fortissimo (media finale di 39,868 km/h, ndr), se le sono date di santa ragione nelle due settimane precendenti. Tappe come Napoli e Torino sono state a mio avviso davvero belle, ed è quasi impensabile che si possa arrivare alla terza settimana con le energie necessarie per darsi battaglia in tutte le frazioni di montagna».

Converrà con me che, negli ultimi tre anni, il ciclismo è cambiato tantissimo: abbiamo più volte scritto di una generazione di fenomeni che attacca e fa saltare il banco in qualsiasi momento. In questo Giro non è stato così.
«Converrà con me, però, che Pogacar è di un altro pianeta».

Ma non c’è solo Pogacar, ci sono anche Primoz Roglic, Wout Van Art, Vingegaard, Alaphilippe, tutta gente che ha contribuito a rompere la metrica portata avanti da team che hanno fatto della velocità, il loro credo. In questo Giro nessuno ha scritto che si è andati piano, tutt’altro, ma squadre come Bahrain e Ineos, con la loro vertiginosa condotta di gara hanno impedito di fatto un certo tipo di ciclismo, che ha freezzato la corsa. L’ha ingessata.
«Io lo ripeto, per me questo Giro è stato bello e combattuto. Si poteva fare di più? Sempre si può fare di più».

Ma dire che non ci si è divertiti, non è necessariamente una bocciatura: non significa che i corridori siano andati piano.
«Ho sentito tanti ex campioni del passato dire: ai miei tempi… Ai loro tempi cominciavano a correre negli ultimi 60 chilometri, quando si alzava l’elicottero della Rai. Da quel momento era bagarre. Adesso ci sono dirette integrali e l’agonismo è lì da vedere: non c’è nemmeno da fare paragoni. Con tutto il rispetto, stiamo parlando di due sport diversi».

Mi consenta, ma cosa c’è di male scrivere "questa tappa è stata noiosa"?
«Nulla. Ognuno ha il diritto di dire e scrivere quello che pensa».

Eppure siamo stati accusati di lesa maestà.
«Questo non è giusto. Voi e non solo voi avete il diritto di dire quello che volete e pensate, come il sottoscritto ha il diritto di dire che i ragazzi hanno corso molto bene. Sa cosa penso? ...».

Cosa pensa?
«Che questo Giro è stato disegnato benissimo e organizzato meglio, ma forse della tappa dell’Aprica o di Lavarone, si poteva anche fare a meno. Mettiamo più frazioni tipo Napoli e Torino e vedrete lo spettacolo. Poi ci si gioca tutto sulla Marmolada. Ne bastava una di tappa da capogiro. Il ciclismo è cambiato. Con tappe di media montagna, anche gente come Mathieu Van der Poel - che è stato spettacolare, come del resto Biniam Girmay - avrebbe avuto più chances. A proposito: che spettacolo VDP. Poi le dico un’altra cosa…».

Dica.
«Se fossero rimasti in corsa corridori come Simon Yates, Joao Almeida e soprattutto, Romain Bardet, il finale di questo Giro sarebbe stato diverso».

Quindi, il finale di questo Giro non è stato un granché…
«Non ho detto questo: poteva essere chiaramente più combattuto. Erano tre pedine fondamentali nell’economia dell’intera corsa. I loro abbandoni sono stati ritiri di peso».

Come ha visto il ciclismo italiano?
«Bene. Molto bene. Abbiamo vinto cinque tappe, si sono fatti vedere ragazzi del ’98 come Dainese, Oldani e Covi. Ma anche Sobrero, Affini e lo stesso Ciccone sono atleti di riferimento che terranno in piedi il nostro movimento negli anni a venire. Voi dite: non abbiamo un erede di Nibali. Ma di Nibali ne nasce uno ogni venti anni. La Francia ha forse il nuovo Hinault? Credetemi: dovremmo clonare uno come Vincenzo… Però, come dicevano i latini “sursum corda”, non siamo messi male, abbiamo Filippo Ganna e tanti ragazzi stanno venendo fuori. Un po’ di ottimismo non guasta. Sono illuso? Questioni di punti di vista: io sono abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno».

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