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LE STORIE DEL FIGIO. CLAUDIO BORTOLOTTO E IL SORRISO DEL "VECCHIETTO"
di Giuseppe Figini | 09/04/2020 | 07:53

Claudio Bortolotto, veneto, trevigiano precisamente, nato a Orsago nel 1952, il 19 marzo, giorno di San Giuseppe e della Milano-Sanremo, almeno a quel tempo, è stato un valido corridore professionista con carriera che si è sviluppata dal 1974 al 1984 per undici e assai proficui, anni.

Pur essendo nativo di un centro di pianura, sin dalla più giovane età, il suo terreno d’elezione in bicicletta si è subito rivelato la salita e quando la strada andava all’insù, con differenti pendenze, il giovane Claudio forniva costante dimostrazione obiettiva e facilmente leggibile della sua attitudine e preferenza per la salita.

Approda al professionismo, dopo una buona carriera nelle diverse categorie con affermazioni e piazzamenti di buon rilievo, soprattutto nelle prove a tappe, nella squadra pordenonese della Filcas, produttrice di carte speciali da regalo, che visse una sola stagione, il 1974 appunto. Era guidata dal direttore sportivo Remigio Zanatta, buon dilettante e poi storico direttore sportivo. “Remi”, com’era chiamato, manteneva un atteggiamento sempre pacato e assai parco di parole, era il padre di Cinzia, Gianfranco e Stefano che si sono cimentati tutti e tre nelle corse con Stefano che ha poi seguito le orme paterne quale direttore sportivo e Gianfranco, apprezzato meccanico, entrambi titolari, nelle rispettive funzioni, di una lunga e militante esperienza nel professionismo.

La squadra dei “verdi”, sia per il colore delle maglie, sia per l’alto tasso di giovani che ha fatto debuttare nel professionismo, “ha ballato una sola estate”, per rifarci al titolo di un famoso film degli anni ’50. E in quell’unica stagione ha colto un’unica vittoria con Wilfried Reybrouck, fratello del più noto e molto più attrezzato Guido, primo al traguardo della tappa inaugurale del Giro d’Italia, da Città del Vaticano a Formia quando ha bruciato nello sprint di gruppo campioni del calibro di Roger De Vlaeminck e Marino Basso, indossando la maglia rosa che mantenne anche nella tappa successiva.

Nel 1975 approda alla squadra della Filotex, guidata da Valdemaro Bartolozzi, poi affiancato da Giorgio Vannucci, e nella squadra pratese gareggia accanto, fra altri, di Francesco Moser, Roberto Poggiali, del danese Ole Ritter, dello svizzero Josef Fuchs oltre a corridori di valore specifico e articolata esperienza quale Roberto Poggiali, luogotenente di gran vaglia e acume tattico, Arnaldo Caverzasi, Mauro Simonetti e altri compagni specialisti nel lavoro d’appoggio in corsa. E al giovane trevigiano tocca questo ruolo che lo vede sovente, in prima fila, soprattutto in salita.

Nel 1975, alla Filotex che chiude l’attività sportiva, subentra la Sanson Gelati dell’appassionato e straripante, per iniziative, idee e carattere, il trevigiano di Scomigo Teofilo Sanson che ha nel veronese, a Colognola ai Colli, la sua sede. E’ in pratica un cambio di maglia per tutto – o quasi – il gruppo Filotex. E anche qui il ruolo di Claudio Bortolotto è ben definito e chiaro: correre in appoggio ai leader e Francesco Moser era l’indiscusso e incontestabile leader. Al gruppo si era aggiunto pure il giovane ma tosto abruzzese Lorenzo Palmiro Masciarelli - Lorenzo per gli amici e Palmiro per gli annali - diventato subito e poi sempre un po’ parafulmine, un po’ coscienza critica dello “Sceriffo” di Palù di Giovo. E’ stata una scuola formativa al massimo per Claudio Bortolotto che un’immagine proposta qui nella “photogallery” lo vede al fianco, in salita, su strada con fondo sterrato, del campione trentino, che si presta a qualche interpretazione e che vede, anche ora, scherzosamente e amichevolmente, su fronti opposti, le relative “letture” da parte dei due protagonisti, un po’ sullo stile della famosa borraccia di Coppi e Bartali.

Nel 1977 Bortolotto ottiene il suo primo successo fra i prof vincendo, in solitaria, la 12^ tappa Salsamaggiore-Santa Margherita Ligure del Giro d’Italia che scavalcava gli Appennini. Secondo fu Paolini a 1’5”. Riuscì a mettere a frutto l’azione di controllo della fuga con il suo capo Moser che rivestiva la maglia rosa. Altro successo di valore fu la vittoria nel G.P. Industria e Commercio di Prato davanti al suo amico, trevigiano d’adozione, Mario Beccia.

Nel 1978 Bortolotto vince una tappa al Midi Libre, gara ricca di salite e di presenze qualitative in ottica preparazione Tour de France e, con l’aiuto di Moser quale gregario di lusso, s’impone anche nella classifica generale. Ignazio Moser, il figlio di Francesco, è solito riferire che il padre sovente ricorda che è stata l’unica volta che ha assunto il ruolo di gregario, “gregario di Bortolotto” dice con un sorriso.  In quell’anno, così come il precedente, Claudio Bortolotto fu convocato da Alfredo Martini nella squadra azzurra per i Mondiali.

La stagione successiva, sempre con la Sanson, era il 1979, riserva un’altra vittoria al Giro d’Italia nell’impegnativa 4^ tappa, da Caserta a Potenza, dando un altro dispiacere all’amico Mario Beccia, anticipandolo di 2” sull’ascesa conclusiva dopo la fuga a due e con Giuseppe Saronni, terzo, a 32”. E, coincidenza, Moser era sempre in maglia rosa.

E’ proprio nel 1979 che Claudio Bortolotto s’impone anche nella classifica del Gran Premio della Montagna, maglia verde patrocinata dalla Plastic Screen.

E poi, per altri due anni consecutivi – il 1980 con la maglia della friulana San Giacomo Mobili con Primo Franchini insieme a Carlino Menicagli quali direttori sportivi, e pure nel 1981, vestendo quella dell’empolese Santini Confezioni-Selle Italia, il direttore sportivo era Piero Pieroni, è lui, Claudio Bortolotto, il “padrone” della maglia di miglior scalatore. Classifica conquistata giorno dopo giorno, con assiduità e costanza (e anche gambe e testa soggiunge), punto dopo punto, sulle ascese di varie categorie.

Altre vittorie: nel 1981 la Coppa Sabatini a Peccioli e nel 1982 la 3^ tappa del Deutschland Tour. Intanto, dal 1982, al 1984, anno del suo ritiro, si era arruolato nella Del Tongo-Colnago di Giuseppe Saronni, sperimentando così, da vicino, molto vicino, i due grandi protagonisti di un’epoca imperniata sull’ultimo grande dualismo del ciclismo italiano.

A fine carriera si è espresso con successo nella vita quale avveduto imprenditore del settore agricolo e vitivinicolo, vice presidente di una banca e anche quale consigliere e poi assessore nella sua Orsago.

Assai recentemente, su una salita friulana scalata in “souplesse”, non a tutta, ha sentito distintamente due giovani dire “ma guarda quel vecchietto che va su così bene”. Non ha loro risposto e non ha snocciolato il suo curriculum. Ha solo sorriso.

Quanto a “vecchietto” basta guardare le sue immagini attuali...

 

 

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