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ERNESTO COLNAGO SOFFIA SU 93 CANDELINE E PARLA DI UN CICLISMO CHE LO FA ANCORA EMOZIONARE
di Pier Augusto Stagi | 09/02/2025 | 13:04

Il regalo se l’è fatto il 22 novembre scorso, andando in una discoteca di Erbusco in provincia di Brescia, per incontrare il suo ragazzo, quel piccolo Eddy Merckx che di nome fa Tadej Pogacar e che da qualche stagione sta riscrivendo con buona grafia la storia del ciclismo.

È andato in discoteca, al QI Clubbing, per poter parlare con il “bimbo” sloveno, campione del mondo in carica, numero uno del ciclismo mondiale da quattro stagioni, vincitore di Giro e Tour un anno fa come non accadeva da Marco Pantani 1998.

Il regalo se l’è fatto due mesi e mezzo fa, anche se la festa per Ernesto Colnago è oggi, giorno del suo 93° compleanno, e con il quale ne approfittiamo per scambiare due parole sul ciclismo attuale, molto lontano dal suo, eppure così vicino.

Intanto auguri.

«Auguri anche a tutti voi e a chi vuol bene al ciclismo».

Lei ha attraversato ottant’anni di ciclismo: da Coppi a Bartali, da Magni a Motta, Merckx e Saronni, per arrivare a Tadej Pogacar.

«Il ciclismo è cambiato tantissimo, ma per essere campione gli ingredienti sono sempre gli stessi: voglia, passione, attitudine costante e talento purissimo».

Tadej può davvero avvicinare Eddy Merckx, archetipo del corridore vincente, il più vincente di tutti.

«Tadej ha appena 26 anni e ha già vinto tantissimo: tre Tour, un Giro, un mondiale, quattro Lombardia, due Liegi, un Fiandre. Ha una classe pazzesca e quel che mi piace è la sua semplicità, la sua solarità, trasmette gioia nel pedalare».

Lunedì prossimo (17 febbraio), farà il suo esordio stagionale al Uae Tour: cosa si aspetta da lui?

«Che si confermi. Mi auguro anche che i vari Vingegaard, Evenepoel, Van Aert, Roglic e Van der Poel siano sul pezzo: è bellissimo vedere questi ragazzi lottare come leoni: tutti amano vincere, nessuno teme di perdere».

Al Tour quest’anno ci sarà la resa dei conti: Vingegaard sembra voler pareggiare i conti…

«E ne ha tutte le possibilità, anche se ciclisticamente parlando Tadej è più completo».

Però la Sanremo (si correrà il 22 marzo) gli è sempre sfuggita…

«Corsa fin troppo semplice per un corridore come Tadej. Se fossi in lui, dopo tante edizioni passate ad attaccare, penserei a correre di rimessa».

Per lui è stato anche in discoteca…

«Non ci sono mai stato neanche quando ero più giovane, ma volevo salutarlo e fargli firmare qualche maglia per il mio museo (LA Collezione, a Cambiago, diretto da Alessandro Brambilla Colnago, il nipote, ndr). È stato bello potermi confrontare con un ragazzo che è già entrato nella storia del ciclismo e dello sport».

Cosa non le piace di questo ciclismo?

«Le cadute. Vanno troppo forte, anche perché le biciclette e i materiali sono sempre più leggeri e scorrevoli. Si punta tutto sulla leggerezza, ma bisognerebbe pensare alla sicurezza».

Intanto, però, il ciclismo italiano è diventato provincia del mondo…

«Oggi non sono più possibili paragoni: un tempo c’erano cinque nazioni di riferimento, oggi il ciclismo è mondializzato. C’è anche l’Africa che sta crescendo tanto e arriveranno anche i cinesi. Però portiamo pazienza: Milan può diventare il velocista più forte del mondo, in pista siamo già un’eccellenza, e poi ci sono dei ragazzini che crescono bene: a me piace tanto Giulio Pellizzari: è molto giovane, può fare bene. E poi c’è Antonio Tiberi, al Giro quest’anno può arrivare sul podio».

Intanto c’è da festeggiare un bel traguardo: sono 93.

«Sto bene e sono sereno, mi manca solo la mia Vincenzina, ma ho una figlia (Anna, ndr) e un genero (Vanni, ndr) eccezionale e dei nipoti e dei pronipoti che adoro. Non chiedo nulla di più, solo un po’ di salute per continuare a godermi il ciclismo e Tadej Pogacar, che corre pur sempre con il mio cognome sulla sua bicicletta. Per questo ringrazio per gli auguri, ma a mia volta li estendo a tutti: a Tadej e a Mauro Gianetti che lo guida con sapienza, alla nuova Colnago di Nicola Rosin che sta facendo cose bellissime, e a quanti amano il ciclismo come il sottoscritto. Come si dice: il ciclismo è davvero una gran bella famiglia».

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