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LONGO BORGHINI E TRENTIN, DAGLI OSCAR ALLA RIPARTENZA
di Pier Augusto Stagi | 02/01/2023 | 08:20

In questo che è il primo «giorno di lavoro» del 2023, come ideale e definitivo passaggio di consegne tra la stagione 2022 e quella nuova, vi proponiamo l'intervista incrociata che abbiamo realizzato per tuttoBICI con Elisa Longo Borghin e Matteo Trentin, i migliori italiani della massima categoria. Un'intervista che è riassunto e progetto al tempo stesso, un'intervista che è un viaggio nel loro mondo e in quello del ciclismo italiano.

Sempre di corsa, ognuno per la sua strada, con la propria bicicletta, coltivando sogni e ambizioni. Non si sono mai incrociati, ma per questo ci siamo messi di mezzo noi, che li abbiamo portati sotto lo stesso cono di luce, per celebrarli come si conviene per due eccellenze del ciclismo, per due Oscar tuttoBICI che si rispettino. Sotto lo stesso cielo, ricolmo di stelle, con loro che risplendono più di altri, per una stagione che è appena andata in archivio e un’altra che è pronta a riprendere l’abbrivio.

Li abbiamo messi uno accanto all’altro, per la pri­ma volta nella storia di tu­t­toBICI: Elisa Longo Borghini e Matteo Trentin, gli Oscar tuttoBICI 2022, la migliore con il migliore, stesso spazio, stesse domande, una di fila all’altra…

Tutto è appena finito e tutto sta già per ric­ominciare: come è stato il tuo riposo?
LONGO BORGHINI. «Per quindici giorni sono stata con Jacopo all’isola de La Reunion (tornati l’8 novembre, ndr), una delle vacanze più belle che abbia mai fatto nella mia vita. Natura da capogiro e lunghe camminate. I co­lori dell’isola sono intensi e l’azzurro del mare è di un azzurro che più azzurro non si può. E poi il colore dei tramonti e il verde della natura sono qualcosa di eccezionale, da restare senza fia­to. Spiaggia? Solo per fare il bagno, per il resto tante passeggiate lungo l’isola. E poi dopo tanto girovagare, fi­nalmente Jacopo ed io siamo riusciti a stare assieme da soli quindici giorni».
TRENTIN. «Non ho riposato. Ho fat­to il marito e il papà. Ma è stato bellissimo. Jacopo, il piccolo (4 anni, ndr), non lo si tiene. Con Giovanni c’è già molta complicità».  

Non pensi mai: ma quanto sto in giro?
ELB. «Ci penso, ma in realtà ormai so­no abituata. Siamo cicliste e stare con la valigia in mano è normale. Ci siamo trovati e ci sta bene così. Jacopo ed io viviamo in un tetris, quei pochi mo­menti che incastriamo per stare assieme li viviamo al massimo».
MT. «Si pensa, fin quando c’è passione ti pesa meno. Provo a fare del mio me­glio».

Non sei più un ragazzino/a, si avvicina il tempo dei bilanci: felice di quello che sei diventato/a. È questo che sognavi da bimbo/a?
ELB. «Da bambina sognavo di diventare veterinaria o archeologa. Sono con­ten­ta di quello che ho fatto ma in ter­mi­ni sportivi posso dare ancora mol­to».
MT. «Da bambino non sognavo di di­ventare corridore professionista, ma so­no molto contento di esserlo diventato. Speriamo di migliorare ancora nei due/tre anni che vorrei ancora correre».

Dai un voto alla tua stagione.
ELB. «Una stagione da 7, perché la Roubaix è una vittoria di prestigio e ina­spettata. Ho ciccato però tutti i miei obiettivi: le Ardenne e il Tour de Fran­ce. Però ho vinto cose che non mi aspet­tavo di vincere. Bellissime corse i momenti che non mi aspettavo. Bella perché imprevedibile».
MT. «Mi do un sei meno meno: non di più».

Il momento più bello?
ELB. «La Parigi-Roubaix. L’emozione di quella corsa è stata incredibile, e Jacopo ha contribuito a renderla perfetta, diciamo magica. Lui è arrivato al mattino di sorpresa per colazione, giusto in tempo per darmi un bacio e ri­partire immediatamente per andare al Giro di Sicilia. Incredibilmente, quando ho attaccato ho pensato: ciao ragazze, ci si vede a Roubaix. Quel colpo non previsto è stato solo e soltanto istin­to. Entrare nel velodromo è stato pazzesco. Non vedevo l’ora di tagliare il traguardo per andare a salutare tantissime persone che lavorano per noi dietro le quinte: Geerike (Schreurs, ndr) e Irati (Otxoteko, ndr) così come Paolo Barbieri al quale sono legatissima e mette senso ai nostri pensieri. Volevo vincere per tutte quelle persone che non vedi mai, ma ci sono. Eccome se ci sono».
MT. «Quando ho vinto a Le Samyn ad inizio di marzo, la prima vittoria dell'anno».

Un momento, racchiuso in un’immagine…
ELB. «Più che un’immagine è un’emozione: tagliare il traguardo da sola a Roubaix urlando».
MT. «Quel giorno lì, perché ho vinto bene. Una liberazione».

La cosa che più ti da fastidio?
ELB. «Jacopo che mi fa la mezza ruota».
MT. «La falsità».

La cosa che ti fa più piacere?
ELB. «Jacopo che mi porta il caffè al mattino».
MT. «Trascorrere il mio tempo con Claudia (Morandini, la moglie, ndr) e i miei bimbi»

L’oggetto di cui non potreste mai fare a meno.
ELB. «Ho sempre con me un orsetto di peluche di nome “crash”. In verità era un mio regalo a Jacopo dopo la ca­duta di giugno 2021, ma da buon maschio alfa mi ha detto: tienilo tu. E io non lo mollo mai».
MT. «Ho una catenina d’oro al collo, con una medaglietta del nonno, del bisnonno e un fiocco di neve che rappresenta Claudia. Infine un anellino d’oro con i nomi dei bimbi».

C’è posto per un libro nella vostra valigia?
ELB. «Sempre. C’è sempre posto per i libri nella mia valigia. E anche per la Settimana Enigmistica: sono una vera appassionata».
MT. «Delle volte sì, non sempre».

Cosa non sopporti del tuo lavoro?
ELB. «Quando Paolo (Slongo, ndr) mi dà da fare delle partenze da ferma».
MT. «Francamente amo tutto, mi piace troppo quello che faccio».

Cosa adori dell’essere corridore professionista?
ELB. «L’elenco è lunghissimo. Amo davvero tutto dell’essere ciclista, è un modo di vivere che mi confà. Mi piace tantissimo. Non sono appariscente, non amo il glamour, sono un po’ una montagnina, ma mi piace vivere così: all’aria aperta».
MT. «Il poter fare come lavoro quello che in principio era solo la mia passione. Il poter stare all’aperto».

Cosa pensi del ciclismo femminile e ma­schile?
ELB. «Il ciclismo femminile negli ultimi anni è cresciuto tantissimo. Tante volte mi chiedo quanto tutto questo sarà sostenibile, ho paura che sia quasi troppo. Temo che tra qualche anno ci saranno poche squadre e poche atlete. Io, per passare, ho dovuto penare un po’. Ci vuole tempo e pazienza, ma soprattutto è necessaria una base. Sui ragazzi ultimamente si sta speculando troppo, ma non dobbiamo esagerare con le critiche, soprattutto guai ad esasperare i giovani. Fino alla fine del 2021 stavamo osannando Damiano Ca­ruso, oggi è tutto nero: non gettiamo tutto alle ortiche, non è una stagione storta che definisce un movimento intero».
MT. «Il ciclismo femminile sta crescendo molto e le nostre ragazze hanno davanti a loro un grande futuro, ma il compimento di tutto questo lo avremo tra una decina di anni. Sul movimento maschile si potrebbero dire tante cose, ma riassumo dicendo: portiamo pa­zienza».

Quanto è importante la famiglia nella gestione della vostra attività?
ELB. «Tutto. È stra-importante. I nostri genitori corrono anche per noi, e poi sono il rifugio, l’approdo e il cuscino sul quale appoggiarsi ogni volta».
MT. «Importantissima. Imprescin­dibi­le. Mi da serenità ed è una gran bella mo­tivazione per tornare a casa. E quan­do sei a casa, ti godi le cose belle con loro e quelle brutte vanno via più velocemente».

Segui la politica?
ELB. «La seguo, cerco di essere ag­gior­nata, il rischio di isolarsi c’è e non mi piace vivere in un mondo parallelo».
MT. «Sì».

Hai votato?
ELB. «Purtroppo no perché ero ai mondiali».
MT. «No, proprio perché la seguo».

La canzone del cuore?
ELB. «You get what you give dei New Radicals. Ma anche For what it’s worth dei Buffalo Springfield».
MT. «Non ho una canzone in particolare».

Il libro che rileggeresti in continuazione?
ELB. «Lampi di Dean Koontz e L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn».
MT. «Se avessi tempo, Il Signore degli Anelli: l’ho letto una sola volta».

Ti piacciono le poesie?
ELB. «Si, mi piacciono Montale e Ungaretti, ermetici come me».
MT. «Non tantissimo».

E l’arte?
ELB. «Sì, moltissimo».
MT. «Sì, molto».

Cosa in particolare?
ELB. «L’impressionismo di Monet e l’espressionismo di Kandinsky. Picasso mi attrae, ma fatico a comprendere l’arte contemporanea, mi piacerebbe un sac­co andare a vedere Guernica».
MT. «La pittura, ma anche la scultura».

Chi ci tiene di più alla vostra casa: ti piace arredarla e arricchirla di oggetti d’arredo?
ELB. «Io. Jacopo in casa è davvero bravo, ma forse sono io che prendo la cosa giusta da mettere».
MT. «Ci teniamo tantissimo entrambi. Per scegliere una lampada ci abbiamo messo tre anni e mezzo».

Come ti vedi dopo il ciclismo?
ELB. «Mi piacerebbe tantissimo rimanere nell’ambiente, ma non so ancora in che ruolo. Ci penserò».
MT. «Per ora mi vedo ancora solo e soltanto corridore».

Cosa faresti per migliorare il nostro sport?
ELB. «In linea generale cercherei un investimento statale stile Bahrain. Squadre come UAE o Bahrain, dove c’è un sistema nazionale. Sarebbe bello avere qualcosa di analogo made in Italy».
MT. «Ci sarebbero da fare tante cose. L’elenco sarebbe davvero lungo. Ne dico due: la sicurezza e il modello economico. Il ciclismo, oggi come oggi, non è sostenibile».

È davvero così importante avere una squadra di World Tour, sia maschile che femminile?
ELB. «Secondo me sì».
MT. «È fondamentale. Sarebbe giusto avere una squadra italiana che tira su i nostri campioni, come ai tempi di Pantani, Cipollini e Simoni, Petacchi e Bartoli».

La crisi del ciclismo maschile è semplicemente la risultanza di un momento poco felice o sono frutto di errori passati?
ELB. «È un momento poco felice e vorrei dire che bisognerebbe dare ai ragazzi il tempo di poter crescere. Non tutti sono Pogacar o Evenepoel: se esiste un dilettantismo è perché c’è un’esigenza. Non tutti hanno gli stessi tempi di maturazione».
MT. «Entrambe le cose, ma aggiungerei errori presenti. Guarda gli ultimi Tour de l’Avenir: Ravasi e Aleotti, scomparsi. Gli stranieri non si perdono. Forse perché vengono gestiti diversamente. Tutti dovrebbero studiare la realtà del Team Friuli, senza invidie e senza rancori. Se c’è qualcuno bravo che fa le cose per bene e meglio di altri, bisogna avere l’umiltà di osservare e capire».

Il momento d’oro del ciclismo femminile italiano è frutto del caso o di una visione progettuale felice?
ELB. «Di una visione progettuale felice e io darei tantissimo merito alla Val­car che ha fatto davvero tantissimo: Cavalli, Persico, Balsamo… sono tutte cresciute in modo graduale. Accelerare i tempi non va bene».
MT. «C’è una grande forza mediatica e ci sono tante ragazze che si identificano con queste protagoniste. Con il World Tour c’è tanta bella visibilità. Prendi 100 uomini e 100 donne: le ragazze sono molto più professioniste».

Cosa diresti ai ragazzi?
ELB. «Non fermatevi di fronte alle prime difficoltà. Non omologatevi e siate voi stessi. Il lavoro paga sempre».
MT. «Tirate fuori gli attributi».

Cosa direste alle ragazze?
ELB. «Non fermatevi di fronte alle pri­me difficoltà. Non omologatevi e siate voi stesse. Il lavoro paga sempre».
MT. «Continuate così».

Qual è il vostro rapporto con la religione?
ELB. «Io credo. Penso che mi aiuti molto anche nella mia vita di atleta».
MT. «Delle volte ci penso, ma sono tendenzialmente agnostico».

Qual è il vostro rapporto con il cibo?
ELB. «A me piace mangiare».
MT. «Ti dico solo che sono appena an­dato a fare la spesa e ho comprato un chilo e mezzo di formaggio.».

Piatto preferito?
ELB. «Il budino di mia mamma: è tan­ta roba. E poi una bella grigliata di pe­sce».
MT. «La pizza. Ma anche tutto quello che la signora Morandini cucina mi piace un sacco».

Colore preferito?
ELB. «L’azzurro».
MT. «Il verde».

Film dei film?
ELB. «La saga di Harry Potter e I passi dell’amore, anche se poi lei alla fine muore».
MT. «Pulp fiction».

Il sogno nel cassetto?
ELB. «Prendere una laurea: o in letterature straniere o traduzioni e interpretariato».
MT. «Vincere il mondiale. Alternative? Sanremo o Fiandre».

Il corridore e la ciclista ideale?
ELB. «Mio fratello Paolo: lui era il ci­clista ideale. Per la dedizione e la passione che ci ha sempre messo. At­taccato con i denti e con le unghie alla sua professione. E poi, al di là dei risultati, era molto forte. La passione me l’ha trasmessa lui. I ricordi più bel­li? Quando mi allenavo con lui».
MT. «Da buon trentino, io guardavo molto Gibo Simoni. Oggi ce ne so­no tanti di forti. Mi piace molto Ethan Hayter: grande corridore. Se ne parla ancora poco».

Lo sportivo che più di ogni altro ha ama­to?
ELB. «Non ne ho mai avuto uno in particolare, ma mi ha sempre colpito Gelindo Bordin. E poi mia mamma (Guidina Dal Sasso, ndr) per quello che ha fatto a livello sportivo e non».
MT. «Valentino Rossi».

La figura politica, culturale, sociale in assoluto che ritieni più importante.
ELB. «Il Presidente della Repubblica: è il nostro garante. La nostra stabilità».
MT. «Non ce l’ho».

Ucraina o Russia?
ELB. «Nessuna guerra».
MT. «Pace».

Cosa le ha lasciato il Covid?
ELB. «Premesso che sono tra le poche che crede di non averlo mai fatto, ma il lockdown mi ha lasciato un senso di maturità. Mi ha donato il pensiero. In quel periodo ho pensato tanto. Penso di aver letto venti libri, ho sentito tantissima musica, mi sono presa del tempo per me stessa».
MT. «Un pensiero: che quando è partito si pensava che ne saremmo usciti tutti migliori. Non è così».

Una frase che ama ripetere?
ELB. «Credici. La seconda è: ho fame».
MT. «Non mollare mai».

Un premio che spera di poter vincere?
ELB. «Io corro in bici perché voglio dare il meglio di me, ma come ti ho detto, sono una montagnina: se non ricevo premi, va bene lo stesso».
MT. «Il Vlaanderen honoris causa».

Cosa rappresenta per lei l’Oscar tutto­BICI 2022.
ELB. «Rappresenta l’ennesima conferma che sono una atleta regolare e l’Oscar premia proprio questo: la regolarità. Per me è una soddisfazione personale non da poco».
MT. «Premio agrodolce. Sono felice per il premio, ma sono il migliore con un sei meno meno. Spero che sia un premio per il futuro. Vorrei di più, per tornare da voi: a pieno titolo!».

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