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POGACAR. «VOGLIO CONFERMARMI, PENSO ALLE CLASSICHE E A ARU CHE TORNERA'...»
di Pier Augusto Stagi | 15/11/2020 | 08:09

Due puntini quasi invisibili sul mappamondo. Cambiago e Komenda, che uniscono in maniera indelebile Ernesto Colnago a Tadej Pogacar; 88 anni il Maestro, 22 per il bimbo d’oro trionfatore dell’ultimo Tour de France. Si sono ritrovati ieri per un abbraccio virtuale e in prossimità, con tanto di mascherina d’ordinanza. «Vinsi il Tour con Eddy Merckx, ma ho dovuto aspettare una vita per festeggiare un trionfo giallo con la scritta Colnago», racconta commosso il Maestro di Cambiago. 

Taddeo è accompagnato da Ur­ška Žigart, la fidanzata, anche lei ciclista con la maglia della Alé Lubjana. Con loro Johnny e Alex Carera, i procuratori del talento sloveno. Con Colnago anche Jhon Gutierez AD della Colnago, e Valentino e Davide Campagnolo, oltre a Beppe Saronni e al team principal di UAE Emirates Mauro Gianetti.

Usiamo l’inglese o l’italiano?

«L’inglese. L’Italia mi è sempre piaciuta, ma l’italiano parlarlo mi imbarazza. Le prime parole che ho imparato sono ‘occhio’, ‘sinistra’ e ‘destra’». 

Dopo la vittoria al Tour la sua vita è cambiata?

«Direi di no, ho solo più attenzioni su di me. Per il resto stessa casa, stessa fidanzata e stessa passione per la bicicletta».

Si sa, la cosa più difficile è riconfermarsi.

«È vero ed è chiaro che io avrò questa responsabilità, ma se poi dovessi sbagliare, amen, non sarebbe un dramma. Si volta pagina e si va avanti».

Ha solo 22 anni, ma ha in mente di poter correre due Grandi Giri nella stessa stagione?

«Si sa che l’eventuale accoppiata Giro e Vuelta è più facile, perché c’è più tempo per recuperare dallo sforzo, mentre se punti tutto sul Tour di recupero in pratica non ne hai. In ogni caso questa è una decisone che verrà presa collegialmente dal mio staff tecnico. Se verrò al Giro? Non lo so di preciso. È chiaro che prima o poi voglio esserci, e con grandi ambizioni».

Quando ha cominciato a credere alla vittoria del Tour?

«Io sono andato in Francia convinto di poter far bene e soprattutto ero convinto di poter fare una buonissima classifica. Poi cammin facendo mi sono reso conto quasi subito che potevo davvero fare grandi cose, ma la consapevolezza di aver vinto l’ho avuta solo quando Primoz (Roglic, ndr) ha concluso la crono finale alle mie spalle».

Ama le corse di un giorno?

«Certo che si e quest’anno, alla Liegi (3°), ci sono anche andato vicino. Sì, nel mio palmares voglio anche qualche bella classica monumento».

Cosa le piace fare quando non corre?

«Passo molto tempo a pedalare e a riposarmi. Amo guardare le serie Tv su Netflix come la “Casa di Carta” e passeggiare con Ur­ška».

Hai mai pensato che potrebbe arrivare anche il momento che qualcosa non vada per il verso giusto?

«Per ora mi è sempre andato tutto molto bene, sono stato fortunato, però so che non potrà essere sempre così, ma so anche che al mio fianco ho persone che mi vogliono bene e che mi aiuteranno sicuramente a superare i momenti più difficili. Speriamo solo che non ce ne sia bisogno: così condivideremo solo le gioie».

Ha avuto campioni del presente o del passato che l’hanno ispirata?

«Non ho idoli, mi sono piaciuti Lance Armstrong, i fratelli Schleck e Alberto Contador. Però io sono io e voglio solo pensare a essere me stesso e a fare solo la mia strada».

Ama altri sport?

«Mi piace molto il basket: mi è sempre piaciuto tanto Shaquille O’Neal».

Più popolare tu o Doncic?

«Sicuramente Doncic, per ora…».

Nel ciclismo i duelli sono sempre stati il sale per rendere più gustosa la pietanza. Lei e Roglic potreste rinverdire questa tradizione…

«Siamo due corridori molto diversi, e non solo per l’età (Roglic ha 31 anni, ndr), ma che si stimano tantissimo. Certo, siamo due atleti che cercano sempre di dare il massimo, quindi nei prossimi anni ci confronteremo a viso aperto, come abbiamo già fatto».

Che regalo si è fatto dopo la vittoria in Francia?

«Prima del Tour mi sono detto: se vinco una tappa, mi regalo una nuova macchina. Poi di tappe ne ho vinte quattro. Ho vinto il Tour. Ho vinto la maglia bianca e quella a pois e così mi sono detto: mi regalo solo un po’ di pace e tranquillità».

Il regalo più bello che hai ricevuto?

«Tanti regali e tutti molto belli. Ma quello di Davide Formolo, mio compagno di squadra, è stato graditissimo: una buonissima torta. Ci voleva proprio». 

Cosa prova ad essere nel Pantheon del ciclismo, con Merckx…

«Da non crederci».

Fabio Aru è anni che fatica a tornare ai suoi livelli, si è fatto un’idea del perché?

«Non ho una risposta. Però posso dire che Fabio è un ottimo ragazzo, con il quale ho un ottimo rapporto. Sono convinto che tornerà a recitare a grandi livelli, perché è tosto e il talento non evapora».

Nibali oggi (ieri, ndr) compie 36 anni: sarà ancora un pericolo per lei e la “Nouvelle Vague” che sta avanzando?

«A Vincenzo faccio tanti auguri: è un grande. Un esempio per tutti noi. È vero, una nuova generazione di corridori sta avanzando spedita, ma la sua generazione, vedrete, ci farà soffrire ancora un po’».

Che rapporto ha con la sua bicicletta?

«Buonissimo: mi piace da pazzi. È una Colnago. E poi io mi fido dei miei meccanici: sono bravissimi. A me resta da fare solo una cosa: andare forte».

Quale è il segreto di un Paese come la Slovenia che sforna campioni di livello mondiale in ogni sport?

«Credo che tutto nasca da una struttura scolastica molto importante. Da noi la pratica sportiva è strategica, e i risultati si vedono».

Da Komenda a Cambiago, due puntini che si sono uniti, per conquistare il mondo.

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