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GHIGO. «LA RIFORMA? CAIRO FACCIA SISTEMA CON NOI, COME HA FATTO NEL CALCIO»
di Pier Augusto Stagi | 15/05/2019 | 07:59

Finalmente anche nel ciclismo qualcosa si muove e la protesta cresce. Come il calcio si va mobilitando contro la Super Champions dei ricchi, anche il ciclismo è deciso a fare la stessa cosa alla luce della riforma che dovrebbe essere varata il prossimo mese di giugno. Una riforma che metterebbe in seria difficoltà molte delle squadre Professional, non solo italiane. Il progetto è chiaro: alzare l’asticella. Alzare il numero dei corridori, quindi costi, budget e attività, a fronte di nessuna garanzia. Nessun punto fermo da proporre agli sponsor, che si vedrebbero aumentare in maniera sensibile i costi a fronte del nulla.

Qualche giorno fa il presidente del Torino, nonché presidente e amministratore delegato di Rcs Media Group, quindi figura di riferimento del Giro d’Italia, è stato durissimo contro il progetto che alcune delle squadre più blasonate al mondo hanno in serbo. «La reazione è veemente — la descrive così il presidente, uno dei leader della protesta —. C’è un movimento europeo che sta nascendo in maniera molto veloce e forte che è totalmente opposto a questa idea scellerata di Champions per ricchi che non ha motivo di esistere».

Lotta dura senza paura, nel mondo del calcio. Nel ciclismo pure. È arrivato il momento di farsi sentire e soprattutto, fare sistema. La Lega calcio di serie A ha scelto nelle ultime settimane la linea dura, espressa per bocca del suo amministratore delegato, Luigi De Siervo. «Se Uefa ed Eca non accoglieranno le nostre istanze, probabilmente si creerà un fronte unico tra i campionati nazionali con conseguenze pesanti, anche fino allo sciopero».

Per il ciclismo scende in campo e sale in sella Enzo Ghigo, presidente della Lega ciclismo professionistico. Contattato da tuttobiciweb, Ghigo si è detto pronto a fare altrettanto.

«Non possiamo permettere a nessuno che il nostro movimento ciclistico si dissolva senza proferire verbo o fare qualcosa – ha spiegato Ghigo -. Dobbiamo farci sentire e ci faremo parte attiva di una protesta che dovrà mirare a sensibilizzare non solo il mondo del ciclismo, ma tutto il mondo dello sport, facendoci interpreti anche del malessere di altre squadre europee. Cercheremo di fare sistema proprio come Cairo e altri presidenti. La nostra non vuole essere assolutamente una posizione di retroguardia, perché siamo aperti a qualsiasi tipo d’innovazione, purché si vada nella direzione del bene di tutto il movimento, non solo di una parte: dei più ricchi».

Ma siamo ancora in tempo?

«Penso e spero di sì. Per quanto ne so, e lo stesso presidente federale nonché vice-presidente Uci Renato Di Rocco mi ha assicurato, il progetto di riforma sarà votato a giugno, ma intanto l’organismo mondiale del ciclismo ha già emanato delle bozze di regolamento e noi vogliamo intervenire fin quando è possibile. Chiederemo ufficialmente di tenere conto delle istanze nazionali, che sono un patrimonio del ciclismo mondiale, che hanno fatto la storia del nostro sport».

Ma che fine farà la Ciclismo Cup?

«Tra le cose da fare, c’è quella di darle sempre maggiore vigore e importanza; tra le cose da ottenere c’è proprio quella di chiedere all’Uci che restino a disposizione degli organizzatori europei due “wild-card”, meglio se tre, e una di queste venga assicurata ad una squadra della nazione organizzatrice».

Lei è torinese, proprio come Urbano Cairo. Ha preso a modello la protesta del presidente del Torino e la posizione adottata nel mondo del calcio, ma a livello ciclistico, invece, il presidente di Rcs Media Group non si è ancora schierato. Come se lo spiega?

«Non me lo spiego e chiedo che ci si possa sedere quanto prima ad un tavolo per parlarne. È chiaro che il Giro guardi all’eccellenza, al mondo dell’eccellenza, a quello più ricco, ma esattamente come sta avvenendo nel calcio, ogni azione non può precludere anche ad una qualificata attività di base che fa comodo a tutti. È una questione sportiva, ma anche etica. Il ciclismo italiano già non ha formazioni di World Tour, se tagliamo le gambe anche alle quattro squadre di seconda divisione, rischiamo davvero di scomparire nel breve volgere di qualche anno. Non penso che la Rcs Sport voglia questo. Sono convinto che un grande imprenditore come Cairo, che è anche un’eccellenza sportiva, non lo voglia assolutamente».

 

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