Dice Antonella che se ce l’ha fatta lei possiamo farcela anche noi. «Non ho mai corso in bici, al massimo la usavo per andare a fare la spesa. Non avevo nessun tipo di preparazione. Infatti l’anno scorso ero partita da casa, a Barletta, e a Roma avevo dovuto mollare per una contrazione di un nervo. Così stavolta sono ripartita da Roma. Avevo detto: arrivo a Capo Nord. Però non ci credevo neanch’io. Infatti mi ero portata dietro soltanto vestiti d’estate: dieci magliette, una tuta, due paia di scarpe. E una tenda da piantare la sera. Poi avevo il telefono, un piccolo computer e una mini-attrezzatura per fare i video, però sono negata e sono venuti malissimo. Due borse da mettere sulla bici, e via».
Antonella Gentile ha trentatrè anni, deve laurearsi - «da un po’» - in Lingue Orientali a Napoli, e ha mollato il bed&breakfast di famiglia per inventarsi un lavoro. «Voglio seguire la mia passione, viaggiare per il mondo». Lo ha sempre fatto: America, Australia, Egitto, Giappone. Ma quello che ha concluso a fine ottobre, dopo quattro mesi e mezzo e cinquemila chilometri, non è un viaggio normale: erano lei e la sua city-bike rossa e grigia, una roba in economia, «di quelle con sei marce e il cestino, è costata 150 euro, non avevo un gran budget». Nessuna preparazione, «i primi giorni facevo venticinque chilometri al giorno e mi stancavo, alla fine ne facevo novanta, mi sono allenata per strada, sarò un’incosciente». Nessuna esperienza seria in bicicletta, nessuna compagnia. Almeno in teoria. «In pratica è stata tutta un’altra cosa. La gente ha cominciato a seguirmi sulla pagina Facebook che avevo aperto, e mi aspettava. Mi hanno offerto da mangiare, da dormire. Mi hanno accompagnato per molti chilometri, non sono stata sola quasi mai».
Dall’Italia è arrivata in Austria, poi in Germania, Danimarca, Svezia e finalmente in Norvegia. Ha visto posti incantevoli come le isole Lofoten e ha vissuto l’emozione del circolo polare artico. E per tornare ha preso passaggi qua e là, anche da una coppia di italiani che vivono in Norvegia e tornavano a casa per sposarsi. «Mi hanno regalato dei vestiti perché non ero assolutamente attrezzata per il freddo. Questa avventura mi ha insegnato che il mondo è molto molto meglio di come noi lo immaginiamo e di come lo dipingiamo sempre. La gente è generosa. Quando penso a quello che ho vissuto non mi sembra che sia capitato a me, è come se vedessi un film».
Per adesso diventerà un libro, che Antonella sta scrivendo e poi andrà a presentare in giro per l’Italia - scuole, università, biblioteche - ovviamente sulla sua bici. «E’ stata brava. Incredibilmente non ho mai forato, anche se in Germania ho dovuto cambiare le gomme perché si erano finite. In compenso ho rotto due volte i freni, e l’ultima volta sono finita al pronto soccorso: ero in Norvegia, stava nevicando, la strada era in discesa e sono scivolata. Mi sono dovuta fermare quattro giorni». La strada è per definizione lunga e pericolosa. «A Capo Nord ci sono arrivata in autobus, gli ultimi 370 chilometri ero un po’ spaventata: un po’ dalla temperatura, un po’ da un tipo che mi ha seguito e mi ha molestato per fortuna sono verbalmente. E’ stato l’unico brutto episodio in quattro mesi e mesi e mezzo». Antonella ha dormito in tenda, ma più spesso ha trovato ospitalità grazie a siti come couchsurfing e warmshowers, «soprattutto warmshowers è perfetto per i ciclisti, ho scoperto un mondo meraviglioso».
La voglia di vedere posti nuovi, di conoscere le abitudini di persone lontane da noi. Ma Antonella aveva un altro obiettivo. «Chiedevo a chi mi seguiva di aiutare Amref. Volevo che il mio viaggio servisse a qualcuno, e ho scelto un progetto idrico in Kenya. Mentre pedalavo pensavo alle donne dei villaggi africani che ogni giorno fanno moltissimi chilometri a piedi per andare a prendere l’acqua dai pozzi. Invitavo chi mi seguiva a donare ad Amref, non solo a me. E così il mio viaggio ha avuto un senso». Possiamo farcela, è questo il senso.
Alessandra Giardini