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INDURAIN ALLA GRANFONDO PINARELLO: «INSIEME ABBIAMO FATTO LA STORIA»
di Carlo Malvestio | 11/07/2022 | 08:21

Non c’è Pinarello senza Miguel Indurain e non c’è Miguel Indurain senza Pinarello. Un binomio che ha rivoluzionato il ciclismo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e i cui record parlano da soli. In sella a una Pinarello, Miguelon ha conquistato cinque Tour de France, due Giri d’Italia, due doppiette Giro-Tour, il record dell’ora, campione mondiale a cronometro nel 1995 e medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta del ’96, sempre nella prova contro il tempo. Indurain era la quintessenza del campione. Umile quando scendeva dalla bici, ma impietoso su di essa, ha cambiato le regole del ciclismo inaugurandone di fatto l’era moderna, caratterizzata dal calcolo minuzioso di ogni dettaglio, in cui nulla è lasciato al caso.

Miguel, bentornato a Treviso.

«Grazie, torno a Treviso 5 anni dopo l'ultima volta. Ci torno sempre volentieri, la famiglia Pinarello mi attende sempre a braccia aperte, rivedo le mie vecchie biciclette e quelle nuove, bellissime. E poi c'è questa Granfondo, che ho visto nascere (era presente anche nella prima edizione del 1996, si era ritirato l’anno prima e aveva portato la maglia gialla, ndr) e son contento di aver rivissuto quest'anno. Treviso mi piace, è una città che ritengo molto comoda, non c'è stress nel muoversi, piccola e carina».

Una settimana piuttosto intensa per lei.

«Si sono stato alla Maratona delle Dolomiti, ma poi sono tornato a casa dalla mia famiglia per la festa di San Firmino a Pamplona, famosa per le corse dei tori, che da noi è sentitissima, dura 7 giorni, e quest'anno ero ospite d'onore. Non nascondo di aver celebrato parecchio e la Granfondo Pinarello conclude al meglio questa settimana intensa ma bella. È sempre un'ottima occasione per venire a trovare tanti amici e anche sponsor, come Enervit e Campagnolo, così come vecchi rivali e compagni di gruppo con i quali condivido tantissimi ricordi».

Si celebrano i 100 dalla nascita di Nani Pinarello, che ricordo ha di lui?

«Una persona magnifica. L'ho conosciuto per la prima volta nei miei primi anni da professionista, nel biennio 1984 e 1985, ero in maglia Reynolds (oggi Movistar, ndr), e parlai con lui durante la presentazione della squadra. Al tempo ero un giovane di belle speranze a avevo ancora molto da dimostrare. Nani aveva un ottimo rapporto con il nostro direttore sportivo José Manuel Echavarri. Ricordo che sapeva lavorare molto bene la bicicletta e fin da subito mi ero trovato a mio agio».

Ha visto le sue vecchie biciclette?

«Le ho viste sì, al museo "Ruota a ruota" in Santa Margherita. Fanno parte della storia di Pinarello, come Pinarello fa parte della mia storia».

Le sarebbe piaciuto correre sul Bolide di Filippo Ganna?

«Credo che ognuno debba vivere la sua epoca. Ai miei tempi le Pinarello erano quanto di più avanzato potesse offrire il mercato e ancora oggi sono all'avanguardia. La differenza, alla fine, la fanno sempre le gambe, ieri e oggi».

Sembra ancora in grande forma.

«Non la definirei una grande forma, ma bisogna considerare che ormai ho 58 anni. Mi piace pedalare, faccio due o tre uscite settimanali, lavoro con qualche sponsor e cerco di tenermi in forma come posso».

È ancora appassionato del ciclismo professionistico?

«Sì, ultimamente guardo le corse solo in televisione, perché con la pandemia è diventato molto più difficile andare in loco per Giro, Tour o Vuelta. Ma ovviamente il ciclismo continua a piacermi e le gare importanti non me le perdo».

Quanto è cambiato questo sport rispetto ai suoi tempi?

 

«Molto, ma non solo il ciclismo, anche tutti gli altri sport. Questo dipende dalle richieste del nuovo pubblico, che vuole azione, velocità, massimo intrattenimento, che ha bisogno di contenuti continui. Anche per questo le mie amate cronometro sono sempre più rare nei Grandi Giri; nell'immaginario comune le salite e gli scalatori creano più spettacolo rispetto a un cronoman».

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