Editoriale
Che il Giro valorizzi se stesso. La corsa rosa, negli ultimi decenni, si è differenziata da Tour e Vuelta per l’assoluto valore tecnico, per un tracciato sempre molto selettivo e spettacolare che ha finito per esaltare le doti dei suoi protagonisti. Al Giro mancano forse i più forti campioni del pedale? Ma se il percorso è di primissimo piano che problema c’è. Il Tour è l’evento mondiale perché è il più globalizzante, quello che riesce a racchiudere attorno a se stesso il meglio del ciclismo mondiale? Il Giro punti a diventare il più prestigioso dal punto di vista tecnico: chi non lo corre è perché non ha le gambe per correrlo. Quest’anno la critica ha badato ad essere molto se stessa, dando vita a una polemica spumante: poche salite, tutte concentrate nell’ultima settimana, se non condensate in tre giorni. Eppure sono bastate ad Alex Zuelle, campione simpatico e di sportività comprovata, per comprendere quanto sia duro correrlo. «Le salite del Giro sono molto più dure di quelle di Francia e Spagna», ha detto lo svizzero. E allora perché non cominciare a dire che un campione autentico non può essere considerato tale fin quando non vince un Giro?

Bartoli per un giorno, per sempre. Giancarlo Ferretti, grande ammiraglio di ciclismo, in un’intervista raccolta dal nostro Angelo Costa, ha detto chiaramente che crede in un Bartoli per tutte le stagioni. Secondo il più decorato dei tecnici, alle prese con un anno sabbatico, Michele ha le capacità non solo di correre a grandi livelli nell’arco di tutta l’annata, ma ha i numeri e il temperamento per essere protagonista dall’inizio alla fine anche in un grande Giro. Noi prendiamo nota, registriamo gli appunti e le osservazioni avanzate dal tecnico romagnolo, ma non vi nascondiamo la nostra preoccupazione. Michele è un atleta di grandissimo valore tecnico, un autentico fuoriclasse che non vorremmo però vedere andare fuori giri per un Giro.

Pantani più forte della criptonite. Il Giro di Marco Pantani è stato uno dei più televisti. L’ultima settimana ha toccato sulle reti Rai ascolti sempre superiori ai 4 milioni e le ultime tappe, quelle montane e la cronometro di Lugano, hanno fatto segnare ascolti da «mundial» calcistico, con share vicinissimi al 60% . In questo delirio da «Teleciclismo» si è anche scritto che Pantani era stato più forte della Nazionale. Cose da non credere. Difatti, non bisogna crederci più di tanto. È vero, gli azzurri di Cesare Maldini, che in Svezia sono stati battuti nell’ultima amichevole prima della trasferta francese, sono stati superati anche dal Grande Pelato. Ma, pur non togliendo nulla a Pantani che sulle reti Rai ha fatto davvero il pieno di attenzioni, la «vittoria» sulla Nazionale va ridimensionata perché ottenuta quando gli azzurri di Ce’Cesare, autentici Superman di ascolti, erano irradiati sulle reti di Tmc, una sorta di «Criptonite» catodica: una rete in chiaro che riesce sempre a criptare tutto.

Modernismo & modernità. Se davanti alla tivù il Giro ha fatto il pieno, ancora più confortanti sono stati i risultati ottenuti sulle strade. Tolta Nizza, un po’ freddina, sin da Cuneo la corsa rosa ha richiamato sulle strade una moltitudine di appassionati, sportivi e semplici curiosi, confermando che l’avvenimento de La Gazzetta dello Sport è radicato nella cultura popolare del paese. Ma se questo può sembrare più un fatto secondario e per certi versi anche un po’ retorico, ben altra considerazione merita il fenomeno in una società che è volta alla comunicazione di massa più massificante. Gli eventi sportivi se non sono visti in tv, non esistono. Fino all’anno scorso c’era chi raccontava che alcuni dirigenti di Mediaset erano visibilmente irritati per i troppi sportivi presenti lungo le strade: «che se ne stiano a casa seduti comodamente in poltrona a vedere lo spettacolo in tv: così fanno audience». Che tradotto potrebbe essere: statevene buoni buoni a casa, così vi contiamo.
D’altra parte, oggi, tutti cercano di farci diventare dei numeri. Dei piccoli ma significativi numeri da rivendere poi alle agenzie pubblicitarie e alle aziende. Ma in questo scenario di fine Millenio, ci sono segnali di risveglio e di docile ribellione. Chi ci vuole vedere tutti davanti alla tivù, accanto a una radio, oppure davanti a un computer a linkare pagine web su reti Internet, è rimasto deluso. Il Giro di Pantani è stato un dolce ritorno al passato. Non vogliamo fare nessuna lezione sociologica sulla fenomenologia di massa, perché non ne abbiamo né la competenza né tantomeno la voglia, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’81° Giro d’Italia ha segnato il ritorno di un sempre più diretto contatto con il pubblico. In grande spolvero anche della «Carovana pubblicitaria», che ha riproposto la vecchia e cara «reclame». E loro, e noi, gli sportivi tutti, hanno sentito il bisogno di tornare a sentire in massa gli odori, i sapori, gli aromi di uno sport che fa del contatto con la gente il suo humus più vero. Ci vogliono massificare, omogeneizzare, collocare in una stanza a dialogare davanti a tv digitali e a reti telematiche in nome di un modernismo asettico. La risposta è arrivata direttamente dalla gente e da Marco Pantani, campione di modernità, ragazzo del suo tempo che con i suoi brillantini, i suoi piercing e le sue bandane è stato protagonista di gesti universali, fatti di fughe, attacchi e voli solitari. Nel nome di una modernità senza tempo; alla faccia di un modernismo privo di fantasia.

Pier Augusto Stagi
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