Questa sarebbe una lettera aperta, un accorato messaggio, mettiamo pure due semplici righe a quei cari amici e stimabili ragazzi che sono i corridori ciclisti. A forza di frequentarli ho imparato ad apprezzarli molto, e francamente mi dà sui nervi quando qualche giornalista snob di altre discipline continua a parlarne come di esseri primitivi e vagamente mentecatti. Venissero un po’ alle corse, gli aristocratici del calcio o del volley o del tennis, per capire come questi minatori della pedivella abbiano caratteri, gusti, idee, personalità e persino ironie che la gente neppure si sogna. Chissà, forse è la vita che fanno a renderli persone degne: come ha scritto Thomas Mann nei Buddenbrook, «un uomo che non sia cresciuto nel dolore e nella fatica resta un bambino». Rimane il fatto che il ciclista di oggi non è più il minus habens che salutava la mamma sul palco: sa intendere e volere, certamente sa quello che vuole. Di sicuro, i giornalisti del ciclismo stimano molto più i ciclisti di quanto i ciclisti stessi stimino i giornalisti. Ma fa lo stesso, in ogni amore c’è sempre uno che ama di più.
Proprio perchè sono persone intelligenti, avranno la sensibilità di capire lo spirito di questa lettera aperta. È importante, perché tratta un tema - antico, noioso, imbarazzante - che ha sempre diviso giornalisti e ciclisti: ma certo, ancora e sempre il doping. Come ha detto quel fine pensatore di Virenque poco prima che il Tour gli crollasse in testa, «i giornalisti sguazzano nel doping e così ammazzano il ciclismo». E come no: i giornalisti vanno a letto la sera sognandosi che il massaggiatore e il direttore sportivo della prima squadra al mondo confessino le cose più turpi. Ci accusano di creare inutili sospetti, di infangare onesti lavoratori, di giocare allo sfascismo. Intanto, loro ogni volta si fanno pizzicare con le fiale nella valigetta e pretendono che la gente si giri dall’altra parte. Doping, qualcuno ha parlato di doping?
Ragazzi, cerchiamo per piacere di non prenderci più per il naso. Certo qualcuno di voi si becca gli schizzi di fango senza meritarli quanto Virenque, certo qualcuno di voi si rende conto che così non può durare. Però voi siete quelli che in un radioso inverno decisero di combattere il doping istituendo i controlli a sorpresa sul sangue, salvo poi presentarsi in primavera con pratica «centrifuga» personale nella valigia. Davvero, io mi sforzo di capire tutto, ma questa della centrifuga non l’ho mai capita: si va di sera negli alberghi ed è tutto un ronzare di macchinette che verificano i valori del sangue. Dite: che c’è di male, verifichiamo preventivamente se siamo in regola con gli eventuali controlli della «Commissione Dracula» dell’Uci. E va bene. Ma santo Iddio, io vi chiedo: perché i ragionieri, le pettinatrici, i minatori, gli autisti, i centralinisti e persino i pizzaioli la sera si coricano senza sottoporsi al simpatico rito della centrifuga? Volete forse dire che lo fanno tutti, anche preti e suore, ma stupidamente io non ne sono al corrente?
Quante bugie, quante recite, quante ipocrisie. E quanta omertà. Sul tema doping il gruppo improvvisamente si compatta e tutti si allineano: negare tutto, negare sempre. Intanto c’è la coda davanti alle ville dei preparatori e dei medici più chiacchierati, intanto si susseguono i ritiri sospetti dalle corse in odore di controllo, intanto il ciclismo muore. Cari ciclisti: è davvero questo che vogliamo?
Vi nascondete dietro attenuanti che pure vi vanno concesse: per trovare sponsor miliardari, i direttori sportivi hanno bisogno di grossi corridori e grosse vittorie. E voi, per avere un posto, cercate di offrire quello che cercano. Disposti persino al suicidio pianificato. Che dire: se è davvero questo lo sport di oggi, se sono queste le regole del gioco, giocate pure in santa pace. I giornalisti restano fetenti e delatori, diciamo pure che sono il vero flagello del ciclismo. Messo in chiaro questo, proseguite liberamente per la vostra strada. Prendete di tutto, affidatevi ai praticoni, distruggetevi il fegato e magari mettete al mondo anche dei mostri. Se siete contenti voi, che ci rimettete la salute, figuratevi noi, che ci gustiamo lo spettacolo rischiando al massimo un colpo di sole o un raffreddore. Ma sì, droga libera. Droga libera a tutti e per tutti, magari persino passata dalla mutua. Altre soluzioni, lo sappiamo noi e voi, non ce ne sono. Che ognuno, adulto e vaccinato, faccia agevolmente, senza più penosi teatrini, quello che gli garba. Un bel beverone alla sera, un paio di siringhe alla mattina, e via trionfanti verso il sesto posto (c’è questo piccolo fastidio che alla fine vince sempre e soltanto uno). Però, per favore, date in cambio anche qualcosa. Io personalmente vi chiederei solo una cosa minima: di piantarla con le penose bugie. È finito il tempo dell’asilo Mariuccia.
Cristiano Gatti, 41anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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