Editoriale
Ragazzi di strada.«Perché lo sport è maestro di vita, e come valore primario ha quello di formare degli uomini, anziché degli atleti. Il ciclismo ha il grande pregio di togliere dalla strada tanti giovani, che altrimenti finirebbero per cadere in mille tentazioni: anche quella della droga». Quante volte ci si è trovati a sentire questi bei pistolotti «retoricopolitichesi». Tutti lì a gonfiare il petto, e a dire fregnacce senza nemmeno un briciolo di amor proprio. Presidenti Federali, del Coni, assessori allo Sport, presidenti provinciali e regionali, tutti. Un bel coretto di banalità, retorica e menzogne. Che li tolgano di strada è assodato, ma fino a prova finiscono per «drogarli» lo stesso, con buona pace di tutti.

Argentin, senza vergogna. «L’eterna ipocrisia che continua a serpeggiare sul tema del doping, non solo nel nostro ambiente, ma anche in altri sport e nel mondo dei media». Le parole sono di Moreno Argentin, apparse domenica 19 luglio a pagina 5 de Il Giorno. Insomma, per l’ex campione del mondo di Colorado Springs gli omertosi sono rintanati nei giornali. Certo certo, sempre lucido e ficcante il buon Moreno. D’altronde ha un’idea molto vaga del civile vivere quotidiano. Da team manager, dopo aver svolto onoratamente la sua carriera di atleta, per giustificare il mancato pagamento degli stipendi ai suoi corridori (alla Roslotto), rispose tranquillo: rivolgetevi allo sponsor russo, è lui che è inadempiente con me. Certo, chiaro, lui è un manager della nuova generazione: che rischia sulla pelle degli altri. D’altra parte da presidente dei Gruppo Sportivi è arrivato anche a «scippare» ai corridori i premi federali (i premi dei piazzamenti, che ora finiscono nelle casse dei team) spettanti agli atleti. Che i giornalisti spesso sbaglino è assodato, io personalmente riconosco solo l’infallibilità del Papa, ma Argentin che si eleva a censore, faccia i nomi, rompa il muro dell’omertà. Altrimenti, taccia. E si guardi allo specchio, se pensa di avere ancora la faccia.

Mente Mentheur. «Per due anni ho preso l’Epo e altri prodotti. Per due anni mi sono dopato. Nessuno mi ha costretto a farlo. Sapevo ciò che facevo». Sono gli altri che non hanno mai saputo che Erwin Mentheur, 25 anni, per quattro professionista, protagonista di un’intervista a Le Monde, avesse avuto un passato da ciclista. Chi si è mai accorto di lui, chi l’ha mai visto? Ed è questo il bello: si drogano per riuscire a terminare le corse. Mente Mentheur quando dice che l’unico modo per fare il corridore è quello di drogarsi. Perché lui corridore non lo è mai stato: non ha mai corso, tuttalpiù ha rincorso. Ci pensi bene chi vuole emulare questo francesino «sfigato»: se sei un «pippone» resti tale. Questo dovrebbe essere un buon motivo per non continuare a rischiare la pelle.

Mettiamoci d’accordo. «I calendari sono troppo affollati, non si può andare avanti così». «È scandaloso che certi corridori disputino solo il Tour e poche altre corse: questi non sono atleti». «Hanno affrontato le prime due ore di corsa ad andatura turistica: ma dove credono di essere, a una gara dopolavoristica?». «Il campionato italiano di 250 chilometri: è folle, oggi i corridori non sono più abituati a misurarsi su queste distanze brevi. Che si cancelli il limite dei 200 e si torni al chilometraggio lungo». Di tutto e di più. Chi vuole il ciclismo di uomini di ferro e chi non vuole corridori con le gambe di piombo. Ma qui dovremmo un po’ tutti chiederci cosa vogliamo. È forse colpa dei corridori se i loro team manager li portano a correre anche le garette di Vattelapesca? E forse colpa di Verbruggen se i team decidono di avere in organico 25 atleti per fare tre/quattro attività? Questo è il ciclismo dei numeri, delle classifiche, dei punteggi che dicono tutto e niente. E che danno voce anche ai Fanini (Ivano), che prima dell’italiano a cronometro, per gridare lo scandalo dovuto all’esclusione della sua squadra, si presentò a Bergamo con dati comprovanti (e lo comprovavano) che la sua società era la numero sette al mondo per numero di vittorie ottenute nel corso della stagione. Per la serie: quando il ciclismo dà i numeri.

Le colpe delle mamme... Negli anni Settanta si accomodava e chiosava qualsiasi discorso con un efficace: «la colpa è della società». E del caso Festina, del problema doping che attanaglia lo sport in genere, la nostra Società qualcosa deve pur sapere. La rincorsa folle e smodata al successo, all’apparire, al posto sicuro, allo stipendio facile, al marito ricco e facoltoso, è lì sotto gli occhi di tutti. Le mamme che portano le loro figlie ai concorsi di bellezza e le sbattono sul letto di produttori, uomini di spettacolo, avventurieri e altri figuri che finiscono in «eri», non nascono dalla fantasia popolare, ma dalla nostra Società dei telefonini, che si scandalizza per le immagini di violenza nei Telegiornali e poi si ferma sulle autostrade per assistere dal vivo alla cronaca di un recupero di morti maciullati tra le lamiere. Poco tempo fa ho assistito ad uno scambio di battute tra un medico di provincia e una coppia di genitori che chiedevano qualche «buonamedicina» per far andare più forte il loro ragazzino, di 14 anni. «Guardi che per far andare più forte suo figlio, forse, sarebbe sufficiente un motorino», rispose con un bel sorriso il medico. I genitori se ne andarono sbattendo la porta. «Lei è un incompetente: ce ne andremo da uno che ne sa più di lei». L’hanno trovato.

Pier Augusto Stagi
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