Madonna santa, hanno toccato il calcio. Il tam tam si è levato incessante e ha attraversato la penisola, un grido d’allarme che ha istantaneamente chiamato a raccolta le truppe cammellate del pubblico soccorso. È stato bello, è stato proprio uno spettacolo educativo: tra le altre cose, lo scandalo doping è servito a chiarire di che pasta sono fatte molte componenti dello sport. Ma soprattutto di che pasta sono fatti certi giornalisti.
Fino a quando il doping toccava ciclismo e nuoto, fondo e atletica, questi simpatici colleghi del calcio erano in prima fila nella gara dell’indignazione. I ciclisti? Tutti bombati. I nuotatori? Tutti bombati anche loro. I fondisti? Bombatissimi come sopra. È una schifezza, è ora di finirla, tutti in galera. E il Tour de France? Vogliamo parlare dell’ultimo Tour de France? Non sembrava vero, a questi urlatori da bar televisivo, di vedere il ciclismo finalmente in ginocchio, uno sport così anacronistico, popolato da semplici, gente che suda e che puzza, ma sì, spazziamoli via una volta per tutte e non se ne parli più. Era perfetto, già alzavano la crestina in nome di un’acclamata superiorità etica dello sport che li alimenta e li foraggia, il calcio delle quotazioni in borsa e dei regali natalizi. Sembrava veramente mettersi al meglio. Poi, però, Zeman: e allora è scoppiato il finimondo.
La denuncia dell’allenatore romanista ha mobilitato le vestali di complemento. Come tante dame di San Vincenzo, le autorevoli (?) firme del calcio hanno urlacchiato ai quattro venti le più trite e deprimenti frasette di circostanza: «Faccia i nomi o stia zitto», «Il calcio è pulito», «Non si può dar retta a uno che accusa perché non ha mai vinto niente». Nel giro di pochi giorni, tutti si sono sentiti in dovere di scrivere e di parlare anche senza avere niente da dire. Sì, perchè è apparsa subito evidente una cosa tristissima: la grassa ignoranza dei cosiddetti osservatori calcistici in materia di doping. Avendolo sempre considerato esclusiva del ciclismo, avendo sempre campato nella beata (beota) certezza che il calcio è un mondo bellissimo e pulitissimo e simpaticissimo, i cortigiani non si sono mai premurati di approfondire la questione. Ma è normale: questa è gente che in buona parte vive col sedere nel burro, coccolata e vezzeggiata dai potenti, unico assillo trovare la trasmissione televisiva giusta dove piazzare il faccione e arrotondare il mensile. Approfondire? Leggere? Studiare? Ma per piacere. Molte primedonne che la gente venera in televisione hanno letto l’ultimo libro diversi anni fa, ed era il «Manuale per il corretto utilizzo della lavatrice». Sono personaggi incolti e abbruttiti dal colesterolo, ruffianoni d’alto bordo che faticherebbero a superare senza contusioni la scuola dell’obbligo.
E allora, dobbiamo anche starli a sentire? Dobbiamo forse considerare contributo decente alla chiarezza i loro luoghi comuni, faciloni e spannometrici? Strillano come vecchie zie che il calcio è pulito, provano ad essere provocatori sostenendo che allora anche noi quando prendiamo due aspirine siamo dopati. Banalità sconcertanti, puttanate a raffica. Due medici cacciati a pedate dal ciclismo vengono frettolosamente arruolati da squadre di serie A e tutti trovano la cosa molto normale. Non uno che si sia preso la briga di consultare uno specialista, un testo, una dispensa (le uniche dispense che conoscono sono quelle piazzate in cucina). Non uno che abbia cercato di colmare le sue lacune professionali con un minimo di approfondimento. Studiare? Al solo udire questo verbo, scappano ululando.
E così, a parziale consolazione di un periodo veramente tristissimo, è venuto fuori un paragone che nessuno aveva cercato, ma che resterà per sempre agli atti. Il confronto tra giornalisti del calcio e giornalisti del ciclismo. Inutile dire chi ne sia uscito meglio. Gli osservatori del ciclismo, forse perché costretti dal particolare settore loro, o forse perchè semplicemente più bravi (si può dire?), hanno dato prova fin dal primo giorno di spirito critico. Anche a costo di fare del male allo sport che amano. Hanno cercato, hanno scavato, hanno approfondito. Col risultato di rendere un po’ più chiara la vicenda, pure ingarbugliata, ai loro lettori. Sono testimone: al Tour de France ho visto un grandissimo come Gianni Mura, che pure potrebbe evitarselo, mettersi a studiare il fenomeno, a chiedere informazioni, ad approfondire con una umiltà che gli fa onore, un’umiltà di pensiero che peraltro solo le intelligenze migliori applicano lungo tutta la loro vita, tutti i giorni da mattina a sera.
E loro, i nostri amici del calcio? Poverini, non appena hanno beccato in testa la tegola, hanno avuto una sola preoccupazione: accodarsi a Pescante, il garrulo presidente del Coni che non sapeva - povera gioia - come i suoi laboratori miliardari non facessero i controlli sul calcio, per chiudere al più presto la triste pagina. Terrorizzati dalla prospettiva di rompere il giocattolo, un giocattolo che frutta così bene in gettoni televisivi e pacchi natalizi, si sono agitati solo per proclamare solennemente il supremo dogma: quello imparato da piccoli, quello che nessuno deve mai sognarsi di mettere in discussione, quello che assicura a tutti tranquillità e privilegi, ma certo, «il calcio è pulito». Vanno anche capiti: Guariniello, il giudice torinese che non crede alle cicogne, è stato molto cattivo con loro. Dai, perché accanirsi così. Però adesso basta: su, tranquilli, non è successo niente. È vero, hanno ragione, guai a chi osa dubitarlo: «il calcio è pulito». Il calcio non è intaccato da nulla. Neanche da giornalisti veri.
Cristiano Gatti, bergamasco,
inviato de “Il Giornale”
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