Gatti & Misfatti
Pubbliche relazioni
di Cristiano Gatti

Una volta festeggiavano col ciao mama sono arivato uno e accoglievano i giornalisti sotto la doccia. Ma molte cose sono cambiate anche e persino nel ciclismo, pianeta ancora umano e perciò atipico nella moderna galassia sportiva. Lo sponsor continua a versare soldi, però chiede sempre più pressante che l’investimento sia sfruttato fino all’ultima lira. Soprattutto, c’è l’ossessione - che spinge fino al servilismo più bieco - del «passaggio» televisivo. Per avere un secondo di televisione, gli sponsor, i direttori sportivi e di riflesso gli stessi corridori sono disposti a qualunque cosa: come si è visto più volte, soprattutto durante i grandi giri, anche a fare gli asini in diretta.

Ormai la schiavitù televisiva ha assunto contorni quasi patologici. E noi, che ci limitiamo a scrivere sui giornali, in definitiva diamo solo fastidio. Il sogno di ogni sponsor, di ogni direttore sportivo, di ogni corridore è avere le telecamere puntate addosso dalla mattina alla sera, sperando nel contempo che un bombardamento al napalm cancelli per sempre l’invadente categoria della carta stampata, sempre pronta ad avanzare pretese di commenti e interviste da pubblicare sul mezzo buono solo per lavare i vetri, l’antiquato e obsoleto giornale.

Ovviamente per sfruttare degnamente la grande liturgia della televisione, ciascuno si sta attrezzando con mezzi sempre più moderni e sofisticati. È di qualche settimana fa la notizia della Polti, la squadra di Gianluigi Stanga, impegnata in una vera e propria scuola di comunicazione per imparare a presentarsi adeguatamente al pubblico. Una volta il massimo rapporto che un ciclista poteva permettersi era il 54x11, adesso è (sarebbe) pronto per qualsiasi contatto esterno. È il magico mondo della comunicazione, baby.

Purtroppo, come tutti i settori sprovveduti che si aprono improvvisamente e forzatamente a nuove discipline, le squadre ciclistiche stanno veramente sperimentando quanto di peggio si possa provare in questo magico mondo della comunicazione. Chiamiamo le cose col loro nome: nella stragrande maggioranza, stanno facendo la parte dei gonzi. Si fanno succhiare un sacco di soldi e manco se ne accorgono. Dicono grazie. Intanto la premiata categoria dei pierre e degli addetti stampa ingrassa alla grande, quasi incredula ci siano ancora in giro simili babbei.

Ci sono squadre che pagano (magari anche più di qualche corridore) un presunto giornalista perché tenga i contatti con i colleghi delle diverse testate, senza poi nemmeno accorgersi che il soggetto si limita a quattro telefonate annuali e a due cene con gli amici più intimi. Si riempiono tutti la bocca col marketing, e i babbei abboccano. Così, negli ultimi anni, è tutto un florilegio di figure inquietanti che fanno del turismo a spese delle squadre, senza mai nemmeno darsi la pena di provare a penetrare davvero nell’ambiente. È il trionfo del parassitismo d’alto bordo, con tante belle manze e stupendi press agent in doppiopetto che manco sanno chi scrive sul Corriere della Sera o sulla Tribuna di Treviso. Hanno una sola premura, conoscere a tutti i costi De Zan per farsi rilasciare l’autografo da esibire nella prossima cena con gli amici.

Una pena sconfinata: non tanto per loro, questi sfaccendati che hanno trovato il modo di fare la bella vita guadagnandoci pure, ma per quelli che li assumono e li mantengono all’insegna del marketing. Mi piacerebbe davvero sapere quanti di questi nuovi operatori hanno una competenza specifica, almeno due studi qualificati, o magari un’esperienza diretta nelle aziende che davvero coltivano questa sofisticata disciplina d’impresa. Personalmente, e restando all’anno appena concluso, io posso testimoniare che senza tirarsela troppo si sono segnalati almeno per efficienza e disponibilità Gabriele Sola (Mapei) e Maurizio Evangelista (già giornalista vero, ora a capo di un’agenzia che segue diverse cose). Nella sua semplicità da autodidatta, bravissimo Ruiz Cabestany, l’ex compagno di Bugno adesso al servizio della Festina. Forse dimentico colpevolmente qualcuno e prontamente me ne scuso. Di sicuro ricordo bene l’ufficio stampa peggiore di tutti, che ha brillato per assenza e per gaffes, con la piccola aggravante d’essere il più esposto e il più richiesto: quello della Mercatone Uno di Marco Pantani. Lungo tutta la stagione ci siamo chiesti perché mai Marco debba avere un addetto stampa, visto che nelle pubbliche relazioni ha solo da insegnare. Ma è una domanda idiota: pare che le squadre moderne preferiscano pomposamente dotarsi di un sedicente ufficio stampa, anche quando - nel caso di Pantani - servirebbe solo una buona segretaria.

Cristiano Gatti, bergamasco,
inviato de “Il Giornale”
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