Gatti & Misfatti
CERUTI&FUSI
La premiata ditta delle sconfitte
di Cristiano Gatti

Giancarlo Ceruti presidente, Antonio Fusi amministratore delegato: sono i massimi dirigenti dell’impareggiabile fabbrica di sconfitte chiamata Nazionale. Le producono in serie, con cicli produttivi e strategie aziendali che non trovano uguali in tutto il mondo. Ovviamente anche questo primato, come tutti i primati, non nasce per caso. Ecco la vera storia di questa grande affermazione del Made in Italy.

Più o meno quattro anni fa. Un giorno, il presidente Ceruti chiama nel suo ufficio Antonio Fusi. «Senta - gli dice arrivando subito al sodo - finalmente sono riuscito a liberarmi di un manager insidiosissimo, un vecchio monumento di questa azienda che ogni volta rischia di compromettere seriamente il mio lavoro e i miei obiettivi. Si chiama Alfredo Martini: nel suo curriculum c’é una lunga serie di disastri che lei manco si sogna. Medaglie d’oro, medaglie d’argento, medaglie di bronzo. Un cataclisma. Però attenzione: io non sono un pisquano qualunque, sopporto e sopporto, ma poi arriva il momento di tirare le somme. Ecco, questo momento è arrivato. Proprio l’altra sera l’ho messo con le spalle al muro. Martini - gli ho detto - è ora che lei si faccia da parte. Le troverò un posto diverso, nel quale neppure volendo riuscirà più a far danni. Lei lo sa come la penso: io non voglio risultati. Questo è un ciclismo di drogati, noi perdiamo perché i nostri atleti sono puliti (quando ci scappa di vincere, è solo perché gli altri hanno sbagliato la dose). Allora, venendo a noi: l’azienda ha bisogno di una svolta, di cambiare mano, di guardare al domani. Per questo, si cambia: tante grazie e amici come prima!».

Riprendendosi velocemente, Ceruti si rivolge di nuovo direttamente a Fusi: «Ora, caro amico, tocca a lei. Però mi deve fare una promessa: basta errori. So che anche lei ha al suo attivo diversi disastri, con tutte quelle medaglie vinte dai ragazzini (a proposito, non s’era detto che al giorno d’oggi vincono solo i drogati?). Comunque, è tutta acqua passata. Conto molto sul suo spirito di servizio e sul suo senso del dovere: da domani si metterà subito al lavoro, voglio una Nazionale affidabile e sicura, che non sbagli un colpo. Dobbiamo perdere sempre e ovunque. Glielo ripeto fino alla noia: non voglio risultati. Noi dobbiamo pensare al ciclismo di domani!».

Fusi ascolta in silenzio e annuisce. Messaggio ricevuto. Poi stringe la mano al presidente e prende subito possesso del nuovo ufficio. Al suo primo Mondiale non è impeccabile: in Olanda, a Valkenburg, una svista nel finale gli costa una medaglia di bronzo. In questa occasione, Ceruti gli fa una telefonata di fuoco: «Caro Fusi, forse non ci siamo capiti. Alla prossima che mi fa, la mando a incollare tubolari. Ho detto che non mi interessano i risultati. Spero di non doverlo ripetere!». Fusi barcolla un attimo, ma poi trova dentro di sé le energie e le capacità necessarie a rilanciare in grande la fabbrica delle sconfitte. L’anno dopo, a Verona, fa già un passo avanti mancando il podio in modo spettacolare. L’unica sbavatura è la vittoria, tra i giovani, di Giordani, ma nessuno è perfetto. E comunque, a scanso di equivoci, Fusi decide di non correre più rischi chiedendo al presidente di sollevarlo dall’incarico di amministrare anche i giovani: «La prego - spiega - vorrei concentrarmi sul compito che lei mi ha affidato coi professionisti». Il presidente accetta, e ne avrà subito soddisfazione. Vediamo come.

Già alle Olimpiadi di Sydney si vedono i primi risultati: ancora oggi, gli italiani d’Australia esultano per la ferma e decisa sconfitta della Nazionale, un gesto che dà lustro e prestigio transoceanici al nostro marchio. Ma è al terzo tentativo Mondiale che Fusi confeziona il capolavoro personale. Prima tiene lontano dal podio anche i ragazzi under 23, che dirige per l’ultima volta e dai quali non vuole grane, quindi architetta in modo geniale il fallimento più all’avanguardia, qualcosa di cui la ditta potrà fregiarsi negli anni: riesce a rimanere fuori dal podio in una corsa priva di Ullrich e Armstrong, due che quando ci sono hanno già i posti riservati. Per arrivare a tanto, Fusi deve dare fondo a tutte le sue risorse intellettuali: soprattutto, deve congegnare una sofisticata strategia aziendale contro tale Michele Bartoli, un dipendente che si ostina a non capire il motto sociale («I risultati non ci interessano») e che anzi esercita uno spudorato boicottaggio. Con quattro abili mosse, il disfattista viene messo nelle condizioni di non nuocere. È il trionfo. In Bretagna si afferma e si consolida definitivamente, in modo inequivocabile, il nostro grande primato: la Nazionale azzurra è unanimemente riconosciuta come la più moderna ed efficiente fabbrica di sconfitte mondiali.

Il giorno dopo, il presidente Ceruti invia un telegramma personale a Fusi: «Bravissimo. Grazie e avanti così. Vietato sedersi sugli allori. L’anno prossimo dobbiamo assolutamente restare fuori dai dieci».

Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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