Editoriale
PER FAVORE, NON STANCHIAMOLI. Un Giro in perfetto stile Tour e Vuelta. Tappe più corte, con meno montagne e meno arrivi in salita. Il tutto per rendere il Giro più «umano» e credibile. Sissignori: da oggi i corridori faticheranno meno, in bicicletta. In compenso stramazzeranno al suolo dopo aver percorso in macchina gli innumerevoli trasferimenti.
Un Giro più «umano», dicevamo, per allontanare la piaga del doping, per scoraggiare il ricorso all’illecito, all’inganno. Bella pensata, bella davvero. Peccato che questo porterà esattamente nella direzione opposta. Più le gare saranno dure, selettive e più i corridori di media fascia non ricorreranno a nessun sotterfugio perché scoraggiati in partenza. Più le gare saranno accessibili a tutti e più la base dei contendenti si allargherà inevitabilmente e con essa le ambizioni e la voglia di andare sempre oltre: anche ricorrendo al doping.
Avremmo preferito che gli organizzatori avessero motivato questa loro scelta in altro modo. Magari adducendo ad un Giro meno duro per renderlo più appetibile anche ai corridori stranieri, se è vero come è vero che in lista di attesa ci sono una nutrita schiera di team forestieri di prima fascia: questa è certamente un’ottima ragione per rendere il Giro più «umano». Una ragione che avremmo perfettamente condiviso.

UN TRAGUARDO IN PIÙ PERILGIRO. “Un traguardo in più per il Giro”: combattere il doping.
Il lettore deve sapere che la presentazione dell’85° Giro d’Italia è stata preceduta da una nebulosa e criptica conferenza stampa atta a illustrare con acrobazie verbali e oscure locuzioni questo ambizioso progetto. Si legge nella nota RCS: «Un progetto corale, con adesioni plurime e di qualità, che coinvolge il mondo dello sport al gran completo e vede in prima fila, attivamente partecipi, le istituzioni e la società civile: alla maggior tutela dello sport e in particolare del ciclismo, la cui credibilità è minacciata dal fenomeno del doping, ora cooperano in tanti, a livello nazionale e internazionale, chiamati a raccolta da RCS e da La Gazzetta dello Sport, che si sono resi promotori del progetto “Un traguardo in più per il Giro”. Un impegno che ha per obiettivo i giovani, la salvaguardia della loro salute e la promozione di una nuova cultura che respinga le tentazioni d’imbroglio recuperando i valori fondanti dello sport, in ciascuna disciplina».
Un progetto che ha coinvolto il CONI, la Federciclismo, l’UCI, tre ministeri (Beni Culturali, Istruzione e Salute) e dietro a questo «piano» c’è una serie di iniziative di varia natura: collane editoriali (opuscoli a larghissima tiratura oltre a cd rom, realizzati con il supporto dei tre ministeri, da diffondere nelle scuole), convegni, ricerche d’opinione e riconoscimenti per i giovani più leali. Due però le considerazioni che ci sentiamo di fare. La prima: per combattere il doping basta semplicemente applicare le leggi che già ci sono, senza ricorrere ad altri «codici etici» e ammennicoli vari. La seconda: dietro a questo progetto di facciata c’è forse una più banale (e giusta) questione di soldi. Ci risulta che il blitz di Sanremo sia costato qualche miliardo agli organizzatori, i quali hanno tutte le ragioni per essere imbufaliti con i corridori e le loro società. Adesso vogliono correre ai ripari e hanno sottoposto ai gruppi sportivi una convenzione che metterebbe spalle al muro i team. In pratica, se un corridore verrà trovato positivo, la società sarà chiamata a pagare anche i danni: i Gruppi Sportivi sono insorti rimandando al mittente la proposta. La questione è delicata e di non facile soluzione. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Tutto questo progetto in nome dell’antidoping altro non è che un sacrosanto diritto di salvare la corsa più importante d’Italia e tutto ciò che le ruota attorno. È un modo come un altro per salvare le casse del Giro.Che problema c’è ad ammetterlo?
Su L’Espresso numero 47 del 22 novembre scorso, Don Giovanni D’Ercole, il teologo e alto prelato del Vaticano, molto vicino a Papa Wojtyla, dice a Giancarlo Dotto:
«... Non mi piacciono i sostenitori della doppia morale, che da un lato predicano i valori, gridano contro il doping e dall’altro partecipano ai vantaggi di uno sport che è solo affare». Che dire di più?

FATELI TACERE. Non li hanno fatti parlare: per non stancarli, s’intende. Li hanno invitati alla presentazione del Giro d’Italia e li hanno fatti tacere: tanto cosa avranno mai da dire i corridori? Dovrebbero in verità pedalare, ma anche di questa loro funzione gli organizzatori del Giro cominciano a nutrire qualche dubbio.
Nel giorno della presentazione del Giro si è parlato di tutto: meno che di ciclismo. Soprattutto non si è parlato di loro, dei corridori. Se danno tanto fastidio, perché invitarli? Il messaggio - neanche tanto subliminale - che è emerso dal «vernissage» milanese è stato uno solo: il Giro si può correrlo anche senza i ciclisti. Sarebbe molto più umano...
Pier Augusto Stagi
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