Grazie alle dettagliate spiegazioni del direttore Pier Augusto Stagi, che in queste cose è il numero uno in Italia, persino io ho capito come e perché le elezioni del nuovo presidente federale sono andate in un certo modo. Piccola parentesi: nel totopresidente, il direttore mi andava dicendo da almeno sei mesi che il vincitore sicuro era Ceruti, perché Moser e i suoi non avevano capito e coltivato una cosa fondamentale, cioè l’importanza del voto dei giovani atleti, novità assoluta e decisiva. Ragazzi, a tuttoBICI non si scherza: c’è un direttore che magari sfila poco in giro per salotti e televisioni, ma che studia e si informa con un’umiltà intellettuale fuori dal comune. Nel prezzo di copertina, il lettore trova anche questo. Lo dico sinceramente: non è poco, al giorno d’oggi.
Esauriti per almeno sessant’anni i complimenti al direttore, passerei al nuovo presidente, cioè al vecchio Giancarlo Ceruti. A lui mi rivolgo soltanto con un velocissimo pro-memoria, che magari il trambusto elettorale può avere in qualche modo oscurato o accantonato. Niente di male: se il presidente ha dimenticato qualcosa, sono qui apposta per ricordarglielo.
Punto primo: la questione cittì. L’ho detto fino alla pedanteria, ma sono di nuovo qui a ripeterlo: Fusi non può stare al suo posto. E non certo perché perda Mondiali con assiduità quasi maniacale: questa è una valutazione tecnica che nemmeno m’interessa. Parlo di una questione molto più importante e molto più alta: parlo della questione morale. Dice qualcosa, questa parola obsoleta? Di sicuro dovrebbe suonare familiare proprio a Ceruti, che si è presentato per anni come il grande ripulitore dell’ambiente, cominciando dalla lotta al doping per finire all’orgogliosa resistenza nei confronti delle varie lobby costruttrici e organizzatrici. Ecco, un personaggio così duro e puro tollera da mesi che il commissario tecnico della nazionale azzurra - di tutte le nazionali, perché ci piace esagerare - viva accompagnato dall’ombra di un’inchiesta per doping. Cioè di un reato che stride pesantemente e scandalosamente col ruolo.
Allora: tante volte s’è chiesto ad Antonio Fusi che si facesse da parte spontaneamente. Parlo di un’autosospensione, mica di dimissioni, perché fino a giudizio ultimato non può essere considerato colpevole. Sarebbe insomma una parentesi, durante la quale Fusi si dedica alla sua difesa e leva dall’imbarazzo un ambiente che non ne ha proprio bisogno. A cose concluse, se ne esce pulito, torna tranquillamente in ammiraglia. Come si vede, non entra nemmeno di striscio nella questione morale l’altra inchiesta che vede Fusi indagato, in questo caso per una semplice questione di corna: il marito geloso di una signora trevigiana l’ha denunciato per violazione di domicilio, avendolo trovato in casa sua, nottetempo, senza una ragione - diciamo così - plausibile. È una cosa da commedia all’italiana, ma resta comunque una questione personale, che nulla ha a che fare col mestiere del cittì: caso mai, incide su quello molto più impegnativo del marito. Sul doping invece non si transige: è strettamente legato al ruolo di cittì, nessuno lo può tollerare.
Normale, no? Invece non è normale per niente. Fusi è incollato col sedere alla sua panchina e non ha alcuna intenzione di scollarsi. Ecco perché busso alla porta di Ceruti: se Fusi non la capisce da solo, qualcuno deve aiutarlo a capire. Cioè il capo. Sempre che Ceruti non consideri la tensione morale come una tensione a corrente alternata, che diventa letale contro Pantani e sparisce davanti a Fusi. Certo, non è facile: ma non si diventa capi per fare solo le cose facili. Prenda Fusi, lo faccia accomodare in sala d’attesa (attesa di giudizio) e scelga un altro. Se poi lo vuole fare a titolo definitivo, è una valutazione sua. Qualcuno dice che è difficile trovare l’alternativa, ma è una stupidaggine colossale. Ce n’è una moltitudine, di alternative. Io faccio subito un nome: Beppe Saronni. Perché non si dica che siamo qui solo a demolire.
Infine, il punto due del mio rapido pro-memoria. Il presidente Ceruti continua imperterrito a spendere ottocento milioni l’anno per pubblicare Tuttociclismo, l’organo della federazione. Non so per quale recondito motivo si ostini a buttare tutti questi soldi, visto che per un agile e pratico notiziario ne basta la metà. Ho un sospetto: pensa che un settimanale a colori, con velleità da giornale vero, gli serva meglio a livello di immagine e di propaganda. Se è così, mi sembra completamente fuori strada: il Tuttociclismo patinato gli fa solo del male. Perché apre una voragine di bilancio che giustamente gli avversari gli rinfacciano, e soprattutto perché comunque non sarà mai un giornale vero. Provi a mettergli vicino BS e tuttoBICI: forse capirà di che cosa sto parlando.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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