Non è per fare del disfattismo carognesco, né tanto meno per tarpare le ali e spegnere gli entusiasmi a nessuno. È soltanto per restare - o tornare - coi piedi piantati sulla terra che vorrei sottoporre al mondo del ciclismo una veloce classifica. Nuda e cruda, è la graduatoria annuale Deloitte Footbal Money League, che fa i conti in tasca ai club del calcio, sulla base del fatturato. Dice il tale: che c’entra col ciclismo? Cominciamo a guardarcela e a comprenderla, anche a futura memoria, poi brevissimamente spiegherò cosa c’entri con il ciclismo.
Per l’ultima stagione, 2015-2016, le gerarchie del grande calcio europeo sono queste:
Manchester United: 689 milioni
Barcellona: 620,2
Real Madrid: 620,1
Bayern Monaco: 592
Manchester City: 524,9
Psg: 520,9
Arsenal: 468,5
Chelsea: 447,4
Liverpool: 403,8
JUVENTUS: 341,1
15a: ROMA 218,2
16a: MILAN 214,7
19a: INTER 179,2
Come è ben chiaro a chiunque, sono cifre stellari. Chiamiamoli ricavi, chiamiamoli giri d’affari, chiamiamoli come vogliamo, ma restano stellari. Questo non significa che poi ci siano utili e guadagni stellari, perché come sappiamo le proprietà del calcio riescono a farsi sommergere dai debiti anche con queste entrate. Ma la gestione dei soldi è affare loro, non ci riguarda. A noi interessa l’entità delle cifre. A parte, poi, bisognerebbe anche capire che la differenza tra i nostri club e quelli europei, a livello di risultati, è persino troppo poca, data la diversità dei mezzi a disposizione: il primo club italiano, la Juve, ha un fatturato pari a meno della metà dei suoi maggiori concorrenti. Ed è decimo nella classifica generale.
M a non è questo che qui ci interessa, dicevo. Dal mio punto di vista, questi numeri servono al popolo del ciclismo per comprendere quanto sia stupido e illogico fare i paragoni con il calcio, cioè cercare di imitare quel modello, pretendere certe prerogative di quel mondo, peggio ancora pretendere la stessa visibilità e la stessa considerazione. Non voglio fare i conti della serva, basta molto meno: basta dire che le due-tre più grandi squadre di ciclismo costano al massimo trenta milioni, peraltro con entrate irrisorie, perché non esistono i diritti televisivi. Dunque, paragonare il settore ciclo al settore calcio è come mettere a confronto l’economia della Cina con quella del Burkina Faso. Non c’è paragone. Non è proponibile. Faremmo ridere i polli.
Non è però che dobbiamo fermarci qui, riconoscendo che i due mondi sono imparagonabili. Che loro - del calcio - sono mega e noi - del ciclismo - siamo micro. Ci sono effetti logici che discendono a catena, proprio quelli da non dimenticare mai, quando ci viene la tentazione del calimerismo facile, loro sono privilegiati riveriti, noi siamo brutti sporchi e cattivi. La verità è che il ciclismo, per le sue dimensioni, ha importanza e attenzioni persino sovradimensionate. A noi non bastano mai, noi vorremmo sempre che il mondo si fermasse e pensasse solo alle corse di ciclismo. Ma non è logico, non è realistico. Dobbiamo sforzarci sempre di allargarci, ingrandirci, soprattutto di non farci chiudere nell’angolo, fuori dai coni di luce, ma altrettanto dobbiamo accettare che altri settori - mettiamoci anche la F.1, con i suoi budget faraonici - stiano sopra. E si comprino, letteralmente si comprino, la prima fila di qualunque cosa: pubblico, televisione, giornali, sponsor. Non è un’ingiustizia. Si chiama legge del mercato. Semplicemente. Se a qualcuno non sta bene, fuori i soldi: quando avremo squadre con 700 milioni di fatturato, forse faremo anche noi la voce grossa. Magari, chissà.
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