Editoriale
Buon anno, e che sia davvero
un anno buono.
Buon anno a coloro che hanno a cuore le sorti del nostro sport, e stanno lavorando affinché la situazione possa migliorare: sotto il profilo dell’immagine e quello economico.
Buon anno a tutti i corridori, a quelli che quest’anno hanno trovato una squadra in extremis e a quanti (e sono tanti) non sono riusciti a trovarla nemmeno a pagamento (evviva!).
Buon anno anche all’UCI, che sta cercando di rilanciare la pista e placare il fenomeno delle squadre inadempienti che hanno come strategia aziendale quella di non rispettare «per statuto» i propri doveri contrattuali. Speriamo però che anche i corridori facciano la loro parte e capiscano che è arrivato il momento di uscire allo scoperto e denunciare questo malcostume (molto italiano, soprattutto italiano, ci ha confidato qualche settimana fa lo stesso Verbruggen), rendendosi così partecipi di un cambiamento che è necessario per la sopravvivenza del nostro sport.
Gli sportivi ad ogni buon conto sono ancora lì, sul ciglio della strada, numerosi, appassionati ma anche un po’ perplessi. Vogliono ancora credere in questo sport che mostra chiari segni di cedimento e non può più permettersi di sbagliare. È da quasi cinque anni, dal caso Festina ’98, che il ciclismo vive fra continui terremoti e smottamenti: la struttura comincia a risentirne, a vacillare in maniera evidente, non si può andare avanti così.
Chi ha deciso di issare bandiera bianca è la Mapei, che ha fermato dopo dieci lunghe ed esaltanti stagioni le proprie ammiraglie nelle rimesse. I più illuminati sostengono che è un fatto «fisiologico», assolutamente normale, e per nulla allarmante. Sarà, ma noi questa la consideriamo invece una gravissima perdita che il ciclismo, in un momento come questo, non poteva e non doveva assolutamente permettersi. Buon anno, quindi, a quanti hanno sbagliato ma hanno fatto perlomeno tesoro dei propri errori. Buon anno a tutti, e che non sia però un anno «buonista», dove si fa la voce grossa, si stilano codici etici di ogni tipo, si indicono convegni e tavole rotonde e poi ci si ritrova sempre al punto di partenza:
a ripetere gli stessi errori, giustificando tutti, perdonando troppo.
Buon anno a Stefano Garzelli e a Giuliano Figueras che devono riprendere il cammino dopo qualche incidente di percorso, così come Gilberto Simoni. Buon anno a Danilo Di Luca, Ivan Basso e Franco Pellizotti, che hanno tutto per poter spiccare definitivamente il volo. Buon anno a Mario Cipollini e Marco Pantani, che questo autunno hanno parlato pochissimo ma si è parlato molto di loro.
Si è discusso del loro matrimonio impossibile, ardito, per certi versi anche rischioso, che alla fine non è stato celebrato. E noi, francamente, di questo siamo contenti.
Meglio per Cipollini, che si ritrova con qualche sponsor nuovo in più e una squadra fedele e fatta a sua immagine e somiglianza.
Meglio per Marco Pantani, che non poteva essere accettato solo e soltanto per quello che portava in «dote». Marco ha bisogno di un ambiente che creda ancora in lui, che sia in grado di stimolarlo e supportarlo (e a volte sopportarlo).
Meglio per tutti e due, che non hanno mai mostrato il loro entusiasmo per questa operazione, dimostrandosi distanti e per questo prendendo le distanze, lasciando chiaramente intendere che quello sarebbe stato solo e soltanto un matrimonio d’interesse, che a loro, però, interessava davvero pochissimo.
Buon anno comunque a Romano Cenni, patron della Mercatone Uno, che continua imperterrito a credere in Pantani e nel ciclismo: per questo gli siamo tutti grati. Buon anno anche ad Emanuela Ronchi, che ormai è colpevole di ogni cosa che dice e succede a Pantani, come se a decidere fosse solo
e soltanto lei (che la Mercatone Uno sia sua?...).
Buon anno a voi tutti, perché questo sport possa tornare ad essere soltanto uno sport da raccontare
e vivere con passione e non da guardare con compassione. Per questi e altri mille motivi, Buon Anno.
Pier Augusto Stagi
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