Editoriale
VIRENQUE-SIMEONI, DUE PESI... Non ce ne voglia l’UCI, soprattutto non ce ne voglia il presidente Verbruggen, con il quale abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione, però la vicenda legata a Filippo Simeoni ci ha lasciato davvero perplessi.
Bel modo di combattere il doping. Bel modo di aiutare il ciclismo e i ciclisti a uscire dall’illegalità. Filippo Simeoni, che nell’ambito delle indagini sul dottor Michele Ferrari aveva ammesso di aver utilizzato Epo e per quelle confessioni fu squalificato dalla Disciplinare per tre mesi, ora rischia di dover star fermo ancora un po’.
L’Unione Ciclistica Internazionale, infatti, ha inviato nei giorni scorsi alla Federciclismo una lettera per comunicare che la squalifica va estesa fino al 31 luglio (con partenza dal 24 novembre scorso): considerando l’inattività invernale, 6 mesi e 6 giorni.
A questo punto, il corridore della Acqua&Sapone ha deciso giustamente di ricorrere al Tribunale per l’arbitrato sportivo (TAS) di Losanna. Il corridore sarà appoggiato in questa sua azione anche dalla Federciclismo che, riconoscendo la sua collaborazione al processo di Bologna, aveva appunto sospeso il corridore per soli tre mesi.
Piccola riflessione, lontano da codici e comma di rito: a Virenque, che negò le proprie responsabilità per due anni interi, ammettendo poi tutto davanti al giudice, l’UCI comminò una pena di 7 mesi (inizialmente era di 9, l’UCI gliela ridusse); per Simeoni, atleta pentito e collaborativo, i tre mesi sono stati portati a 6. Proprio un bel modo di combattere il doping. Proprio un bel messaggio da inviare in giro per il mondo: corridori, se non parlate è meglio. Molto, molto meglio.

REVERBERI E PETRUCCI. Al convegno sul doping di Roma, Bruno Reverberi, diesse di lungo corso e attuale presidente dei gruppi sportivi, ha tuonato dal pulpito tanto da far issare dallo scranno il presidente del Coni Gianni Petrucci, il quale avrebbe detto grosso modo così: «Ma è mai possibile che voi del ciclismo dovete sempre guardare al calcio, agli altri sport? Pensate prima a guarire voi dai vostri mali». Giusto, giustissimo, se queste parole fossero state però pronunciate da un giudice, da uno sponsor del ciclismo, da un team manager, da chi volete voi, ma non dal numero uno dello sport italiano. Petrucci ha il dovere, invece, di considerare tutti gli sport allo stesso modo, con la stessa attenzione e premura. Il problema doping è un problema di tutti: senza figli e figliastri.

CHE TRIPLICE. Corridori furbetti, società non esenti da colpe, sponsor terrorizzati, mondo mediatico che, volenti o nolenti, ha sempre messo a nudo i mali più o meno riconosciuti del nostro sport. In compenso chi avrebbe il dovere di fare chiarezza, orchestrare una ferrea lotta al doping, sembra che faccia di tutto per buttare tutto in vacca. La Cassazione che in pratica dice che «Spacciare nandrolone non è reato se non cambia il risultato in gara» (titolo de La Repubblica del 4 aprile scorso). «Può doparsi chi non lo fa per sport» (titolo del Corriere della Sera del 2002). Ringraziamo la Cassazione, ma ancor più le industrie farmaceutiche e il loro strapotere, il Coni e il Ministero della Salute: proprio una bella «triplice». La Corte di Cassazione ha dapprima svuotato gravemente la legge contro il doping (376/2000), partorendo una lista delle sostanze proibite monca e poi, dopo aver fatto una figura barbina, ha approvato in via definitiva la nuova lista con l’apertura alle «sostanze affini». Pensate che tutto sia finito qui? Bah, speriamo bene, ma vista l’aria che tira e con chi abbiamo a che fare, vi consiglio di giocare una bella «tripla»: con la «triplice» è d’obbligo.

TANTI MODI DI PARLARE DI SPORT. Faremo arrabbiare nuovamente Gianni Petrucci, ma se un corridore ciclista vince alla grande una corsa, subito si ironizza e si pensa a quello che c’è dietro, se si parla di calcio o di altri sport, niente: va tutto benone. Quelle sono davvero imprese. A Radio 24 mi è capitato di ascoltare qualche tempo fa un collega che dissertava sul recupero a tempo di record di Roberto Baggio, e in pratica diceva grossomodo questo: «Baggio è l’esempio della volontà che fa impallidire il doping». E chi lo dice, lui? Noi di Baggio non sappiamo nulla e nulla dubitiamo, ma come fa questo collega ad esserne così sicuro: è responsabile di un laboratorio antidoping? Va in giro a controllare in nome e per conto del Coni gli sportivi d’Italia? E usare un pochino di prudenza, vista l’aria che tira? Un modo molto semplice di trattare l’argomento ci sarebbe anche: astenersi da commenti, e parlare solo con prove (e provette) alla mano.

LACRIME DI COCCODRILLO. Lo diciamo prima. Prima che si scatenino in esercizi di retorica e atti di buonismo stucchevoli. In verità lo diciamo perché qualche segnale si è già visto, proprio da parte di colleghi del Corriere dello Sport e di La Repubblica, che per anni hanno demonizzato Marco Pantani sbattendolo allegramente in prima pagina ad ogni pié sospinto e adesso che il romagnolo è finito/sfinito, gli porgono gli zuccherini, con concetti tipo: «Non è bello che sia solo lui il simbolo-parafulmine del male». Non è bello che siano proprio loro a piangere lacrime di coccodrillo.

A PENSAR MALE SI FA PECCATO... Telegrafici, perché la nostra è una sensazione, più che una convinzione. Dicono: le squadre spagnole disertano il Giro perché la tivù di stato iberica ha deciso di non comprare i diritti, a loro dire, troppo cari. Sarà, ma la coincidenza è piuttosto sospetta. Da Firenze arriva una nutrita lista di corridori spagnoli pizzicati nel blitz di Sanremo e loro decidono di girare alla larga: pensiamo male?

Pier Augusto Stagi
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