Gatti & Misfatti
Si comincia a ragionare

di Cristiano Gatti

Il regalo di Natale è arrivato con qualche giorno di anticipo. Ce l’ha im­pacchettato la Wada, l’agenzia mondiale antidoping. Per­so­nalmente, non è esattamente quello che desideravo, ma bi­sogna sapersi accontentare: so­gnavo la radiazione dopo il primo doping accertato, sono arrivati quattro anni.

Non è per spirito forcaiolo che sognavo la radiazione. C’erano dei motivi seri. Il primo: in situazioni di tremenda emergenza, servono norme di emergenza. Avrei lasciato aper­ta soltanto una porta: la possibilità di cambiare la ra­diazione in una squalifica co­munque pesante nel caso in cui il condannato rivelasse no­mi e circostanze in grado di abbattere un giro di truffatori. E poi il secondo motivo: con la radiazione, ci leveremmo dalle scatole i loschi figuri per sempre, senza rischiare di ritrovarceli qualche anno do­po magari sulle ammiraglie o nei ruoli tecnici di qualche fe­derazione.

Niente da fare: resterà tutto un sogno. Dob­bia­mo accettare la so­luzione trovata dalla Wada, trovata lottando contro le re­sistenze di tante federazioni e di tanti Stati. Quattro anni dopo il primo caso conclamato. Comunque non è per niente male. Si comincia a ragionare.

Sostanzialmente, quattro anni sono un periodo adeguato per rendere molto, molto difficile il ri­torno di un atleta ai massimi livelli. Per quanto l’individuo possa tenersi in esercizio infiltrandosi nelle gran fondo con barba e occhiali finti, è dura per chiunque tenere il fisico allenato in un certo modo per così tanto tempo. E comunque, è dura anche non incassare stipendi per quarantotto mesi: a meno che un tizio non abbia messo da parte milioni e milioni truffando in precedenza, presto o tardi c’è sempre una moglie o una madre che prende per le orecchie il lenone e gli dice chiaro e ton­do di levarsi la bicicletta dalla testa, vai a lavorare che qui non abbiamo più bisogno di campioni a sbafo.

Sì, quattro anni di squalifica sono una buona conquista. Se ci saranno anche controlli a sorpresa sempre maggiori, ma davvero a sorpresa, nonché una sempre maggiore collaborazione di case farmaceutiche e giustizia ordinaria (quella sportiva, ormai, non la conto più: arriva sempre dopo la banda), se ci sarà insomma una determinata politica di deterrenza e di castigo, doparsi diventerà sempre meno conveniente. Sempre più un pessimo affare. Roba per disperati. O per in­coscienti. O per idioti.

Non vorrei dare l’impressione di credere a Biancaneve e alle cicogne. Va bene la speranza di rendere il doping sempre più rischioso e costoso (in termini di pene), ma certo non sono qui a dire che il doping prima o poi sparirà. Non lo dirò mai, finchè esisterà l’ultimo atleta (l’ultimo uomo) sul pianeta Terra. Per me, il doping è come l’evasione fiscale: una tentazione troppo forte. Che ci tocca tutti, suadente e affascinante. Terribilmente difficile resistere. Soprattutto, im­possibile pensare che tutti pos­sano resistere. Così, come per l’evasione bisogna solo cercare di renderla rischiosissima e costosissima, per farla diventare sempre meno appetibile e popolare, allo stesso modo penso si debba agire con il doping. Esiste, continuerà ad esistere: ma un con­to è il doping allegro e generalizzato di certe epoche re­centi, un altro sarebbe (sarà) il doping difficile, rischioso, costoso, del futuro, opzione praticabile solo da certi fetenti professionali e senza scrupoli, comunque minoranza. Un conto è il dopato caso ec­cezionale in mezzo a una moltitudine di onesti, un altro è il pulito caso eccezionale in mezzo a una moltitudine di tossici. Come è stato fino a ieri, o fino all’altro ieri.

In attesa che il 2015 - da­ta di introduzione dei quattro anni - arrivi presto, possiamo ingannare l’attesa con un giochino della me­moria: proviamo a immaginare come sarebbe il ciclismo degli ultimi quindici an­ni con la norma già attiva. A occhio e croce, io dico che do­vremmo riscrivere completamente la storia. Come fosse un altro sport.
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