Gatti & Misfatti
Breve saggio sulla bicicletta

di Cristiano Gatti

In attesa di scoprire chi vincerà il Giro, mi sovviene una riflessione di carattere generale, che sta sopra le lotte del gruppo e le strategie di mar­keting. Ri­guarda semplicemente la bicicletta, signora dei no­stri sogni e delle nostre giornate migliori. Provo a spiegarmi, con doverosa premessa: non assumo droghe pesanti e be­vo il giusto.

Altri forse cercherebbero di dare a questa idea la dignità di un saggio. Non chiedo il copyright, se qualcuno vuole ap­profondirla mi trova curioso di leggere lo studio. Tutto è legato alla vita e alle diverse età della bicicletta. Faccia­mo­ci caso: gli esseri uma­ni cominciano subito ad innamorarsene nei primi anni. Non esiste bambino, di tutte le epoche, che comunque non avverta il richiamo istin­tivo allo strano gioco della pedalata. Prima il triciclo, poi la prima bici con le rotelle dietro, poi la prima mountain-bike. Fino ai quattordici anni, salvo precoci diserzioni, l’animale uomo ama terribilmente le due ruote.
Purtroppo, al compimento dei quattordici anni, la passione si al­larga inesorabilmente alle due ruote con comodo motore. Co­sì, avviene il primo disamore di massa. La bicicletta entra in una fase di difficile abbandono, sempre più relegata in un angolo oscuro dei box, sempre più im­polverata e con le gomme a terra. Il declino diviene di anno in anno sempre più triste. L’a­ni­male uomo arriva a sedici anni e sgasa su cilindrate maggiori, quindi passa a diciotto e perde la testa per le quattro ruo­te. È una febbre che assale tutti quanti, un morbo irresistibile che alla fine si accanisce proprio sull’antico legame con la bici, sino a reciderlo.

Per fortuna, non è un morbo letale. Biso­gna solo resistere e aspettare. Verso i venticinque-trent’anni, l’animale uo­mo tende a rinsavire. Len­ta­mente, timidamente, riacquista il lume della ragione e realizza che in fondo pedalare non è poi così stupido: può essere molto utile, può es­sere molto divertente. Ad uno ad uno, sono in molti a tornare in cantina e a rimettere in sesto il vecchio rottame. In seguito, il riscatto può persino portare a una pratica maniacale e agonistica. In ogni caso, dai trenta an­ni in su, il fenomeno è chiaro. Dopo i quaranta e do­po i cinquanta, sempre più marcato. Si può giustamente concludere che la bicicletta viva due stagioni felici: l’età acerba, l’età ma­tura. Nel mezzo, proprio non la vogliono.

La mia idea non si ferma qui. Curiosa­men­te, si al­larga an­che alla progressione geografica della bicicletta. Faccia­mo­ci nuovamente caso: la bicicletta va tantissimo nei paesi poveri e nei paesi ricchissimi. In quelli che non hanno ancora conosciuto il benessere, in quelli che ne sono già un po’ sazi. In mez­zo, nei Paesi che scoprono i piaceri e le comodità, viene subito scaricata in cantina. Bisogna che questi stessi Pae­si di mezzo, andando avanti nei Pil fino all’opulenza, riscoprano improvvisamente tutti i lati positivi e salutistici, ecologici ed economici, della bicicletta. Quando il Paese è adulto, la bicicletta diventa persino mo­da. Pure troppo.

Tranquilli, non intendo farla lunga. Sono già al­le conclusioni del mio breve saggio. Pos­sia­mo dire che la bicicletta pia­ce da morire nelle età e nei luoghi acerbi, nelle età e nei luoghi maturi. Nelle età e nei luoghi di mezzo, viene dimenticata. Mi piace pensare che la bicicletta è amata nelle età e nei luoghi dove ancora sono possibili il candore e la poesia.
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