Gatti & Misfatti
L'altra faccia della medaglia

di Cristiano Gatti

E meno male che alla fi­ne abbiamo trovato la so­luzione contro la de­riva dopata e diseducativa del ciclismo giovanile: con regio decreto del presidente federale Di Rocco, i giovanissimi do­vranno correre per poesia e per di­vertimento, basta con la folle e cinica corsa al premio sin dalla più verde età.

Messa così, bisogna ri­conoscerlo, suona be­ne. Ha qualcosa di alto e di etico, di pedagogico e di romantico. Ma sì, i ragazzini devono praticare sport con animo leggero, le­vandosi dalla testa l’ossessione del risultato a tutti i costi, persino al costo abominevole di una pastiglia o di una siringa prontamente allungata dal solerte adulto che lo sta istru­endo. Come scel­ta, ha il pregio innegabile di riconoscere il problema e di cercare una soluzione. Devo però dire che i pregi finiscono subito qui. Io non ne vedo al­tri. Piuttosto, mi deprimono altre considerazioni.

Che esista il problema di un’eccessiva pressione sui bambini, in tut­ti gli sport agonistici, è innegabile e molto preoccupante. Basta an­dare il sabato pomeriggio al campo dell’oratorio per assistere allo squallido spettacolo dei genitori arrampicati sulle reti per insultare arbitro e mi­ster, ma anche la propria creatura che sbaglia la diagonale, nonché degli stessi allenatori al­lupati, questi uo­mini cui af­fidiamo i nostri fi­gli per una sana educazione sportiva e che invece incitano a entrare da die­tro, a dare di go­mito, ed eventualmente, quando è il ca­so, perché no, a sputare.

Il ciclismo non si sottrae, purtroppo, a queste degenerazioni assurde. Il mon­do adulto è subito pronto a traviare il più candido dei bim­betti, in nome di un ma­linteso senso dell’agonismo, e svegliati, e impara a stare al mondo, e guarda che se non li mangi tu ti mangiano loro, e tira fuori la cattiveria, e non guardare in faccia a nessuno, e nella vita i deboli non vincono mai una beata fava, e intanto prendi questo che ti dà un po’ di energia…

Quante volte, in giro per corse domenicali, ab­bia­mo fiutato questa atmosfera. Quante volte i piccoli diesse di paese, scimmiottando i Ferretti e i Riis, gli Al­geri e i Reververi, distruggono in una mattinata tutti i faticosi sforzi educativi che famiglia, preti, scuola, quotidianamente profondono nel delicato settore dell’infanzia. È vero, ha ra­gione Di Rocco, qualcosa bisogna fare, prima che i bimbetti di oggi siano gli spregiudicati e amorali professionisti di do­ma­ni, uomini senza valori in testa, tranne uno: quello ematico.

Eppure, riconosciuto tut­to questo, la scelta di abo­lire la medaglia continua a lasciarmi un retrogusto amarissimo. Non ho una soluzione alternativa, lo dico subito. Troppo difficile. Ho però qualche pensiero ricorrente che non riesco a superare. Per esempio, continuo a pensare che una medaglia possa diventare persino fattore positivo, se inseguita in un certo modo, se vissuta in un certo modo: aiu­ta a darsi una motivazione, aiu­ta a porsi degli obiettivi, aiuta a sacrificarsi e a faticare per raggiungere un premio, tutti processi dell’anima che comunque nella vita andranno affrontati. Ed è qui che mi ar­riva subito il secondo pensiero: trovo profondamente in­giu­sto e sgradevole togliere le medaglie ai bambini per fermare quei pazzi degli adulti. Mi sembra una non-soluzione. Una turpe scorciatoia. Mi ri­corda molto quegli assessori che vorrebbero eliminare l’inquinamento cittadino abolendo i limiti delle polveri sottili. Certo, può funzionare: togli la medaglia ai bambini e disarmi gli adulti che hanno dietro, lasciandoli senza ragioni fondate nella loro corsa idiota a vincere comunque.

C’è però una cosa che non posso proprio sopportare: togliere la medaglia ai bambini e la­sciare così come stanno, pietose e vergognose, le cose nel de­menziale mondo delle gran fon­do. Siamo a questo punto: ai bambini diciamo che non si corre per vincere a tutti i costi, ma per partecipare, per socializzare, per divertirsi in armonia con il creato. Ai loro papà, ai loro zii, ai loro nonni lasciamo invece lo spettacolo deprimente delle finte corse per fin­ti corridori, con finti ordini d’ar­rivo, finte imprese, finte premiazioni (è tutto vero, purtroppo, compreso il doping selvaggio: definisco finto il mon­do delle gran fondo perché patetico surrogato del mondo professionistico).

Presidente Di Rocco, bi­sognerà spiegarla, questa cosa, ai ragazzini. Bisognerà dire che loro devono fare sport in modo spassionato e leale, mentre i loro pa­pà e i loro zii e i loro nonni pos­sono continuare tranquillamente a combinare porcherie, a inscenare pietose tattiche, a massacrarsi senza esclusione di colpi, certamente anche a do­parsi, nelle domeniche dell’evasione. Presidente, vada avan­ti lei. Lo spieghi con pa­ro­le sue. Io non ce la faccio: non c’è niente che mi faccia più vergognare delle bugie cretine raccontate ai bambini. Personalmente, mentre i bambini ci guardano, io riesco a dire soltanto questo: ragazzi, tranquilli, non siete voi da educare. Sono i grandi da rieducare.
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