Editoriale
Benedetto il giorno in cui torneremo a parlare solo e soltanto di ciclismo. Benedetto sarà il giorno in cui ci soffermeremo solo e soltanto a commentare sprint sbagliati, fughe folli e vittorie mozzafiato. Benedetto sarà quel giorno e tutti i giorni successivi.
Intanto, però, scusatemi se ancora una volta torno sull’argomento più pesante, pressante e fastidioso del momento: il doping. Di cose ne sono state dette e scritte parecchie, noi nel nostro piccolo non siamo stati da meno, ma è forse giunto il momento di fare punto e a capo e ripetere alcuni concetti fondamentali. Seguitemi.

CHIAREZZA. Premessa: vogliamo, fortissimamente vogliamo un ciclismo credibile e pulito. Per questo chiediamo l’impegno da parte di tutti: corridori, squadre, sponsor e istituzioni (sportive, politiche e giudiziarie). Ognuno deve fare la propria parte, fino in fondo. Ben vengano i codici morali, le autoregolamentazioni e quant’altro, però... c’è un però.
Occorre fare chiarezza. Non è più pensabile che esistano sport da macellare e altri che possono fare il bello e il cattivo tempo. È vero, il nostro ambiente deve recitare il “mea culpa”, non deve ostinarsi a guardare nel piatto degli altri, però non è tollerabile che la Federciclismo proponga un proprio regolamento, il CONI un altro ancora, l’UCI ne recepisca di fatto solo una parte, il resto del mondo continui a fare come gli pare, il CIO segua i propri disegni, mentre la WADA va coma va. Parliamo tanto di ciclismo a due velocità, ma oggi il ciclismo è solo e soltanto a due velocità.

PASTICCIO ALL’ITALIANA. Occorre che la magistratura arrivi ad un dunque, arrivi alla stretta finale. Dopo oltre un anno dal blitz di Sanremo siamo ancora in attesa dei rinvii a giudizio da parte del pm Bocciolini, mentre da Padova non sappiamo più nulla e da Brescia siamo in attesa di notizie. Intanto il lavoro della commisione ministeriale di vigilanza per l’applicazione della legge 376 continua a restare su un binario morto. Dopo un anno e mezzo, non si registra alcun passo avanti e nessun abbozzo di progetto su quelle che sono le questioni fondamentali contemplate nel testo (prevenzione, tutela della salute, procedure per i controlli, laboratori regionali). Non solo: della famosa lista delle sostanze proibite, invocata da mesi dai magistrati, s’è persa ogni traccia. Il decreto non è stato firmato dal ministro per la Salute Girolamo Sirchia, e dopo essere stato inviato al CSM per un parere non vincolante, ora sembra giacere nell’ufficio legislativo del ministero stesso. Il solito pasticcio all’italiana.

O DI QUA O DI Là. Questa situazione non è più tollerabile: o si decide di fare sul serio, e a livello CIO si arriva alla formulazione di regolamenti unitari valevoli per tutte le Federazioni mondiali, oppure, sempre in maniera unitaria, si prenda atto della sconfitta e si chieda una volta per tutte la liberalizzazione del doping: basta con le mezze misure, basta con i compromessi.
«Ora nel ciclismo non c’è più vittimismo e nessuno scarica su altri il doping», ha detto orgoglioso l’ineffabile Gianni Petrucci, presidente del CONI, in occasione degli Stati Generali del ciclismo. Verissimo, il ciclismo non fa più del vittimismo il proprio credo, ma non ha nemmeno più intenzione di darsi mani e piedi al suo carnefice.

SIAMO CIRCONDATI. È vero: il ciclismo è perseguitato. Su questo non ci sono più dubbi. È indubbio però che i più accaniti siano i ciclisti e il loro mondo del ciclismo che si ostina a non capire. È un po’ come se la Guardia di Finanza venisse a casa nostra e nel farci visita ci trovasse con mille irregolarità. Loro cosa fanno? Si piazzano lì nottegiorno, e fin quando non ristabiliscono la legalità non ci pensano ad andarsene. La situazione del ciclismo è esattamente questa. È vero, molti altri sport nemmeno li controllano, ma il problema del ciclismo è che ha la Guardia di Finanza in casa e molti del nostro ambiente faticano a capirlo.

MA WADA NEL PALLONE... Non si può certo dire che siano finiti nel pallone, perché il mondo del calcio li ha rimandati a casa: la Wada non l’hanno voluta vedere nemmeno dipinta. «Grazie, potete pure accomodarvi: l’uscita è quella». Siamo alle solite: se si va a toccare un Simoni qualsiasi tutto è nel pieno rispetto delle regole, se si cerca di andare a rompere le uova nel paniere a Ronaldo e compagni la regola è una e una sola: eluderle.
«Al progetto di un codice universale antidoping manca un tassello, quello del pallone». A dirlo a chiare lettere è stato lo stesso Richard Pound, canadese, presidente della WADA. Occorre, a questo punto, uniformare i regolamenti. Il progetto di codice universale antidoping è per Pound una priorità da varare da quì alle Olimpiadi di Atene 2004: un tale codice permetterebbe di uniformare le politiche antidoping in vigore nel mondo e imporre sanzioni a quei governi nazionali, comitati olimpici e federazioni internazionali, che non lo rispettino. A tale riguardo la WADA ha già definito il codice antidoping che dovrebbe valere dal 2004. Prevede due anni di squalifica per la prima infrazione e radiazione per la seconda. Sembra tutto molto chiaro, ma così non è. Il pericolo? Che la Federciclismo faccia le sue regole, il CONI le proprie, l’UCI segua la propria strada, la magistratura ordinaria prosegua il proprio cammino... esattamente come adesso.

Pier Augusto Stagi
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