Gatti & Misfatti
Trionfo italiano

di Cristiano Gatti

V come Valverde, come Valv-Piti e come Ver­go­gna. La storia più allucinante e più avvilente del ciclismo moderno volge al termine, con l’Uci ancora in posizione d’attesa davanti allo scandalo del campione - di Epo - spagnolo. Al diavolo an­che l’Uci e tutti i suoi cervellotici sofismi, che per troppo tempo le hanno impedito - come a tutti gli azzeccagarbugli - di vedere l’abbagliante verità sotto gli occhi. Quel che conta, a questo punto, è solo il risultato: il riconoscimento ufficiale, solennemente sancito dal Tas, dell’inchiesta tutta italiana. Per una vol­ta, ne usciamo da giganti: la nostra giustizia, ordinaria e sportiva insieme, riceve un applauso internazionale. V come Vit­to­ria, V vome Viva l’Italia.

Possono raccontare quello che vogliono, il popolare Valverde e i suoi costosissimi avvocati (peccato ci sia anche un italiano, lo specialista in grane-doping Fe­derico Cecconi). Possono legittimamente aggrapparsi a tutti i cavilli procedurali del caso: è un loro diritto, ci mancherebbe altro. Hanno cercato di dimostrare che l’Italia non aveva i requisiti per incastrare un corridore spagnolo. Ci han­no provato in tutti i modi, è andata malissimo. Il Tas ha riconosciuto che l’Italia si è mossa nel pieno rispetto di tut­te le norme. Promossa a pie­ni voti. Quel che resta, quel che davvero interessa a noialtri appassionati, e se mi si passa il termine anche a noi­altri incazzati neri contro tut­ti i dopati di questi ultimi die­ci anni, è la sostanza della co­sa. La vera verità, la realtà dei fatti. Lo sappiamo che so­no due piani diversi: anche un as­sassino spietato può uscire libero dal processo, se il suo avvocato è bravo a farlo assolvere per insufficienza di pro­ve. Ma a noi, di tutta questa intricata battaglia legale, interessa soltanto un elemento sostanziale: Valverde è dopato oppure no? Valverde era dentro fino al collo, nella famosa Operacion Puerto, oppure no?

Ora è scritto su una pietra tombale, a caratteri in­delebili: sì, Valverde era uno dei clienti devoti del gi­necologo maschile Eufemiano Fuentes, dunque è un dopato conclamato, tant’è vero che l’Italia l’ha squalificato e non lo vuole tra i piedi nelle proprie corse. Punto. Su questo più nessuno può eccepire. De­ve farsene una ragione Val­verde Val-Piti e devono farsene una ragione i suoi costosissimi avvocati.

Se vogliamo, come in oc­casione di qualunque impresa ciclistica, due pa­role enfatiche e celebrative vanno spese per questo capolavoro d’inchiesta, che resterà per sempre ad aleggiare sulla storia sportiva quale fulgido esempio di astuzia, di intelligenza, di determinazione. Per quanto urli e sbraiti, per quan­to si ostini pateticamente a negare persino d’essere na­to, Valverde resta a pieno titolo l’unico campione della Operacion Puerto sorpreso col sorcio in bocca. Il merito è tut­to nostro, del Made in Ita­ly. Bravissima la procura di Roma nell’imporre alla procura sportiva antidoping del Co­ni di aprire un procedimento contro lo spagnolo, dopo aver pesantemente sospettato che una sacca di Fuentes fosse in­testata proprio a Valverde. E bravissimo, da standing ovation, il vecchio Torri, piemme Coni, nel tendere l’agguato all’ineffabile Valv-Piti durante l’unica giornata utile, quando il Tour 2008 approdò nella Provincia Granda. Un tranquillo controllo antidoping con prelievo di sangue, un rapido confronto tra questo campione e il sangue ta­roc­cato della sacca “Valv-Piti”, la dimostrazione che è lo stesso sangue, ed ecco servita la più bella inchiesta sportiva della storia. Colpito e affondato. Valverde può sbraitare quanto vuole, può persino dire che “gli italiani non avevano il diritto”, ma la so­stanza resta: lui è un dopato. Poterlo adesso scrivere in tut­ta serenità, con la certificazione di una sentenza Coni e di una sentenza Tas, riempie il cuore di soddisfazione. Non tanto per accanimento e sadismo giustizialista: no, soltanto perché Valverde ha letteralmente rotto l’anima, in questi ultimi anni, con questa sua arrogante pretesa di zittire tut­to e tutti, negando l’evi­denza, ben sostenuto peraltro dall’accidia dei don abbondi che vivacchiano nella canonica Uci.

È stata dura. Abbiamo do­vuto ingoiare la spudoratezza di questo Valv-Piti. Molti miei colleghi l’han­no pure celebrato, senza problemi e senza pudori, quando addittura il bell’uomo è andato a vincere le corse, ultima la Vuelta, mentre avrebbe dovuto starsene a ca­sa per scontare le sue colpe, come i complici dell’O­pe­ra­cion Puerto. Sì, abbiamo do­vuto penare molto, anche di fronte all’opportunismo e all’ignavia di tanta stampa e di tanta televisione. Ma alla fine, almeno per una volta, giustizia è fatta. Qui, in Ita­lia, oltre ogni ragionevole dubbio. Quel che adesso fa­ranno Uci e Wada, sinceramente, interessa molto poco. Qualunque cosa facciano, è comunque tardiva e colpevole. Se vogliono essere davvero coerenti, Valverde devono ad­dirittura farlo campione del mondo honoris causa. Non è una battuta. Senza l’inchiesta italiana, Valverde sarebbe oggi il prototipo perfetto della filosofia Uci: “A vincere non è il più forte: è il più furbo”.
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