V come Valverde, come Valv-Piti e come Vergogna. La storia più allucinante e più avvilente del ciclismo moderno volge al termine, con l’Uci ancora in posizione d’attesa davanti allo scandalo del campione - di Epo - spagnolo. Al diavolo anche l’Uci e tutti i suoi cervellotici sofismi, che per troppo tempo le hanno impedito - come a tutti gli azzeccagarbugli - di vedere l’abbagliante verità sotto gli occhi. Quel che conta, a questo punto, è solo il risultato: il riconoscimento ufficiale, solennemente sancito dal Tas, dell’inchiesta tutta italiana. Per una volta, ne usciamo da giganti: la nostra giustizia, ordinaria e sportiva insieme, riceve un applauso internazionale. V come Vittoria, V vome Viva l’Italia.
Possono raccontare quello che vogliono, il popolare Valverde e i suoi costosissimi avvocati (peccato ci sia anche un italiano, lo specialista in grane-doping Federico Cecconi). Possono legittimamente aggrapparsi a tutti i cavilli procedurali del caso: è un loro diritto, ci mancherebbe altro. Hanno cercato di dimostrare che l’Italia non aveva i requisiti per incastrare un corridore spagnolo. Ci hanno provato in tutti i modi, è andata malissimo. Il Tas ha riconosciuto che l’Italia si è mossa nel pieno rispetto di tutte le norme. Promossa a pieni voti. Quel che resta, quel che davvero interessa a noialtri appassionati, e se mi si passa il termine anche a noialtri incazzati neri contro tutti i dopati di questi ultimi dieci anni, è la sostanza della cosa. La vera verità, la realtà dei fatti. Lo sappiamo che sono due piani diversi: anche un assassino spietato può uscire libero dal processo, se il suo avvocato è bravo a farlo assolvere per insufficienza di prove. Ma a noi, di tutta questa intricata battaglia legale, interessa soltanto un elemento sostanziale: Valverde è dopato oppure no? Valverde era dentro fino al collo, nella famosa Operacion Puerto, oppure no?
Ora è scritto su una pietra tombale, a caratteri indelebili: sì, Valverde era uno dei clienti devoti del ginecologo maschile Eufemiano Fuentes, dunque è un dopato conclamato, tant’è vero che l’Italia l’ha squalificato e non lo vuole tra i piedi nelle proprie corse. Punto. Su questo più nessuno può eccepire. Deve farsene una ragione Valverde Val-Piti e devono farsene una ragione i suoi costosissimi avvocati.
Se vogliamo, come in occasione di qualunque impresa ciclistica, due parole enfatiche e celebrative vanno spese per questo capolavoro d’inchiesta, che resterà per sempre ad aleggiare sulla storia sportiva quale fulgido esempio di astuzia, di intelligenza, di determinazione. Per quanto urli e sbraiti, per quanto si ostini pateticamente a negare persino d’essere nato, Valverde resta a pieno titolo l’unico campione della Operacion Puerto sorpreso col sorcio in bocca. Il merito è tutto nostro, del Made in Italy. Bravissima la procura di Roma nell’imporre alla procura sportiva antidoping del Coni di aprire un procedimento contro lo spagnolo, dopo aver pesantemente sospettato che una sacca di Fuentes fosse intestata proprio a Valverde. E bravissimo, da standing ovation, il vecchio Torri, piemme Coni, nel tendere l’agguato all’ineffabile Valv-Piti durante l’unica giornata utile, quando il Tour 2008 approdò nella Provincia Granda. Un tranquillo controllo antidoping con prelievo di sangue, un rapido confronto tra questo campione e il sangue taroccato della sacca “Valv-Piti”, la dimostrazione che è lo stesso sangue, ed ecco servita la più bella inchiesta sportiva della storia. Colpito e affondato. Valverde può sbraitare quanto vuole, può persino dire che “gli italiani non avevano il diritto”, ma la sostanza resta: lui è un dopato. Poterlo adesso scrivere in tutta serenità, con la certificazione di una sentenza Coni e di una sentenza Tas, riempie il cuore di soddisfazione. Non tanto per accanimento e sadismo giustizialista: no, soltanto perché Valverde ha letteralmente rotto l’anima, in questi ultimi anni, con questa sua arrogante pretesa di zittire tutto e tutti, negando l’evidenza, ben sostenuto peraltro dall’accidia dei don abbondi che vivacchiano nella canonica Uci.
È stata dura. Abbiamo dovuto ingoiare la spudoratezza di questo Valv-Piti. Molti miei colleghi l’hanno pure celebrato, senza problemi e senza pudori, quando addittura il bell’uomo è andato a vincere le corse, ultima la Vuelta, mentre avrebbe dovuto starsene a casa per scontare le sue colpe, come i complici dell’Operacion Puerto. Sì, abbiamo dovuto penare molto, anche di fronte all’opportunismo e all’ignavia di tanta stampa e di tanta televisione. Ma alla fine, almeno per una volta, giustizia è fatta. Qui, in Italia, oltre ogni ragionevole dubbio. Quel che adesso faranno Uci e Wada, sinceramente, interessa molto poco. Qualunque cosa facciano, è comunque tardiva e colpevole. Se vogliono essere davvero coerenti, Valverde devono addirittura farlo campione del mondo honoris causa. Non è una battuta. Senza l’inchiesta italiana, Valverde sarebbe oggi il prototipo perfetto della filosofia Uci: “A vincere non è il più forte: è il più furbo”.
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