Gatti & Misfatti
Se Merckx fosse italiano

di Cristiano Gatti

Eccomi qui, sono pronto davanti al plotone di esecuzione. Non ho bi­sogno della benda nera, vo­glio guardare fisso negli occhi chi preme il grilletto. A busto eretto, senza pentimenti, sono pronto a pagare il mio crimine: ho osato sostenere che nell’ipotetica classifica di tutti i tempi, Merckx va considerato a pieno titolo il più grande ciclista di sempre. Secondo me, andrebbe abolito anche il termine “ciclista”: in campo sportivo, voglio vedere chi riesce a scavalcarlo.

L’idea di avventurarmi sul campo minato mi è venuta a fine anno, poco prima del cinquantesimo anniversario di quel ferale 2 gennaio 1960, quando la ma­laria si portò via l’epopea del Campionissimo. Sono stato a Ca­stellania, ho omaggiato l’im­menso Fausto. Poi, però, di fronte alla cascata di retorica di quei giorni, durante i qua­li tantissimi si sono av­venturati in definizioni totali (una per tutte: “Il più grande campione di tutti i tempi”), mi sono detto: perché? Perché bisogna accettare questa operazione, quando tutti sappiamo che i confronti fra varie epoche non sono possibili, e che se proprio vogliamo azzardarli il più grande non è Cop­pi?

Ai primi di gennaio, ho pubblicato sul Giorna­le il confronto nudo e crudo delle cifre. Non devo ripeterlo agli appassionati di tuttoBICI. Loro sanno. San­no che Merckx ha vinto quattro volte di più. Che ha vinto su tutti i terreni: in salita, in vo­la­ta, a cronometro, in li­nea, a tappe, su pista. Che ha vinto corse mai vinte da Cop­pi (esem­pio: cinque Liegi-Ba­sto­gne-Liegi, e tutti sappiamo che cosa significhi Liegi-Ba­sto­gne-Liegi). Niente: è ba­sta­to lanciare un sasso, così, per amore storico della verità, su­perando i limiti nazionalisti dei miei occhiali tricolori, per ritrovarmi sepolto da una fra­na di macigni. Devo dire che tanti altri si sono sforzati di superare l’emozione dei pro­pri sentimenti e dei propri ri­cordi, convenendo sul fatto che se proprio vogliamo tentare un confronto, alla fine non c’è storia. Ma gli oppositori, da un punto di vista del­le reazioni, si sono rivelati mol­to più accalorati, indignati, inferociti. Guai toccare Cop­pi: so­no pronti a schierare i mortai.

Ho ricevuto di tutto: plichi cartacei, analisi comparate, ricordi personali, qualche insulto. E an­che alcuni spocchiosi giudizi definitivi, del tipo: lasci perdere, si vede che lei non sa nul­­la di ciclismo, non tocchi materie che non conosce. Può pure darsi che abbiano ragione, ma mi rimane sempre il dubbio: avessi detto Coppi, an­­cora mi avrebbero considerato così idiota?
Dubbi personali a parte, resta la bellezza di un dibattito salutare e di­vertente. Non mi è parso ve­ro, per una volta, accapigliarmi su questioni di ciclismo vero e bello, dopo dieci anni di tetri dibattiti su doping e passaporti biologici. Mi è sem­brato di tornare in un al­tro tempo, in un altro mondo. Quanto alla questione in sé, c’è poco da aggiungere. Cia­scuno è liberissimo di eleggere il Migliore in base alle proprie valutazioni. Ringrazio chi mi ha fatto notare che i confronti tra varie epoche so­no impossibili: faccio però presente che lo so da me, ag­giungendo tuttavia che il di­vieto deve valere sempre, an­che quando la gente spara col ciglio umido le definizioni co­smiche come “Coppi il più grande di tutti i tempi”. Se i confronti sono impossibili, de­vono esserlo sempre, non soltanto quando perde Coppi, mi pare. Ringrazio poi chi mi ha fatto notare che Coppi ha saltato gli anni della guerra, che ha avuto tanti disgraziatissimi infortuni, che ha avuto persino una tribolatissima vi­ta privata: ringrazio, ma an­che questo so bene. Soltanto, voglio aggiungere che queste tuttavia non sono prove certe della supremazia di Coppi, ma solo generiche attenuanti per una sconfitta comunque inequivocabile.
Inequivocabile, certo. Può davvero darsi che Coppi, correndo i cinque anni del­la guerra, senza infortuni, senza le bufere sentimentali, avrebbe battuto Merckx. Può darsi, ma resta soltanto un’i­po­tesi. Ipotesi per ipotesi, pos­so anche pensare che correndo i cinque anni della guerra, magari poi lo stesso Fausto non avrebbe vinto al­trettanto negli anni successivi. Solo ipotesi, lo dico io per primo. Forse, chissà. Resta un fatto: i confronti nello sport non si fanno con i se e con i ma. Per quanto commovente, emozionante, leggendaria, ro­mantica, epica sia la parabola di Coppi, il suo primato sta tutto scritto nelle ragioni del cuore. Purtroppo, nelle ragioni degli albi d’oro, della nuda realtà, della storia vera, tutto concorre a dire che il più gran­de di sempre si chiami Ed­dy Merckx. Senza possibilità di replica. Può dispiacerci molto, come italiani. Ma bisogna avere la forza di affrontare un ragionamento senza tessere e senza passioni private. Anche se porta a conclusioni amare. E comunque, mi concedo solo una domanda, pri­ma di chiudere l’appas­sio­nante rissa: se Merckx fosse italiano, il più grande sarebbe sempre Coppi?
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