Gatti & Misfatti
CambieRAI?

di Cristiano Gatti

Dovremmo essere a ca­vallo: il direttore di Rai­sport è un grande co­noscitore del ciclismo, uno dei suoi vice pure. Lo sono per un’esperienza maturata sul campo, anzi in corsa, negli ultimi anni: di fatto, ne sono i gestori assoluti. I loro nomi? Eugenio De Paoli il direttore, DinosAuro Bulbarelli, ma cer­to, proprio lui, il vicedirettore.

Intendiamoci: le decisioni giornalistiche non do­vrebbero scaturire dalle provenienze e dalle radici di chi comanda. In teoria, uno sport e un avvenimento do­vreb­bero avere l’attenzione che meritano, a prescindere. In teoria. In pratica, non è co­sì. In pratica, il ciclismo deve leccarsi le dita per ritrovarsi improvvisamente, nel pieno di un’epoca molto difficile, due ciclo-amatori in posti così importanti. È chiaro che neppure loro, per quanto amatori, potranno fare miracoli se l’amato movimento continuerà a muoversi in un certo modo, ma questo è tutto un altro discorso.

Le premesse per ridare un po’ di slancio a uno sport che ne ha bisogno, e che comunque la Rai - noi - paga a caro prezzo, ci sono tut­­te. È fondamentale che i vertici conoscano la realtà del ciclismo italiano, soprattutto che rispetto a tanti altri direttori sappiano quanta passione, quanto entusiasmo, quanto seguito ancora riesca a smuovere, nonostante la barbarie degli ultimi dieci anni. Nessuno chiede che la Rai se­gua il ciclismo per amicizia o per simpatia, ma semplicemente per quello che rappresenta: ancora oggi, nell’epoca degli stadi vuoti e della crisi di tutti gli altri sport (Mo­toGp escluso), il ciclismo ri­chiama gente. Per strada, in te­levisione. Si tratta soltanto di aprire gli occhi, liberandoci dai facili conformismi degli uffici marketing, ancora convinti che soltanto il calcio e la Formula 1 siano amati e me­ri­tino spazio.

Che cosa poi De Paoli e Bulbarelli s’inven­teran­no, io questo non lo so. Però sono molto curioso di sa­perlo. Intanto, la scelta del nuovo telecronista è già abbastanza sorprendente: tutti pen­savano toccasse per eredità naturale a Fabretti, invece sarà Pancani. Scelta felice? Soltanto un cretino, o in tizio in malafede, può rispondere adesso con un sì o con un no. A Pancani va dato modo e tempo per mettersi in mostra, quindi si potranno stilare pa­gelle. Un augurio di buon la­voro se lo merita da subito. Assieme all’augurio di riuscire a rompere anche con la tradizione. Che cosa intendo per tradizione non sto a specificarlo troppo: dico soltanto che sarebbe bello trovare in Pan­ca­ni un tele-cronista aperto a parlare di tutto e di tutti, an­che e persino dei problemi più imbarazzanti per il settore, come ovviamente il doping. Cioè il tallone d’achille della gestione Bulbarelli, che invece per troppi anni ha frettolosamente liquidato i cataclismi con una battuta e due risate.

Avrà modo di rifarsi dalla scrivania, il vecchio Bulba. La speranza, che personalmente mi espone agli insulti pesanti di chi vivrebbe giorno e notte davanti alle telecronache, è che le grandi corse ritrovino ritmo e suspense. Basta, davvero basta con le dirette di ore, con le estenuanti chiacchiere a latere per intrattenere un pubblico sfatto, mentre il gruppo procede come una comitiva della San Vincenzo a Sotto il Monte. Non se ne può più, di un ciclismo così. Bi­so­gna ritrovare smalto, bisogna tenere alta l’attenzione, bisogna ricreare anche un po’ di sana discussione polemica, sen­za timore di scontentare qualcuno. L’opportunità è ghiotta: De Paoli e Bulbarelli sanno benissimo che vale più la qualità della quantità. Così per i programmi collaterali co­me il Processo alla tappa: bi­sogna decidere una volta per tutte se vogliamo che continui ad essere un patetico ri­cettacolo di amicizie o se in­vece che ospiti soltanto chi ab­bia qualcosa da dire.

Ce la facciamo, direttori? La platea del ciclismo si aspetta molto, da voi. È fondamentale voltare subito la pagina nera della gestione De Luca, il direttore che guardava il ciclismo con la te­sta rivolta al golf. Bisogna met­terci mano. Con coraggio e con fantasia. Senza guardare in faccia a nessuno. Se qualche testa deve rotolare, se qualche faccia deve cambiare, che succeda. Anche se spiace, anche se ci si crea qualche ne­mi­co. Questo, purtroppo, si­gnifica comandare. Pochi ono­ri, molti oneri. Chi comanda soltanto per farsi adorare da­gli adulatori, non va da nessuna parte. Chi comanda per ottenere un buon prodotto, va lontanissimo. L’augurio che faccio io, a De Paoli e a Bul­ba­relli, è che riescano ad an­dare lontanissimo. Noi saremo là, a dire grazie.
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