Ne abbiamo parlato recentemente con il direttore Stagi, dopo esserci esaltati come marmocchi all'ennesimo duello tra Valentino Rossi, Lorenzo e Stoner. Ci dicevamo: le emozioni di queste gare, spazzato via il fascino melenso dell’attuale F.1, oscurano pesantemente anche lo spettacolo del ciclismo. Dobbiamo riconoscerlo onestamente. Subito dopo però ci siamo chiesti perché. Come mai il ciclismo non riesce più a scatenare simili eccitazioni. E soprattutto che cosa si potrebbe fare per restituire allo spettacolo televisivo un minimo di emozione, eliminando l’aria pesante da abbiocco duro di quest'ultima epoca.
Èevidente che ciascuno avrebbe in testa la sua trasmissione ideale. La telecronaca è come la pizza: chi la vuole alta e chi la vuole bassa, chi la vuole croccante e chi la vuole morbida. Ovviamente, sono tutte idee rispettabili. Ma c’è un aspetto sul quale tutti quanti, mi pare, si possa concordare: ultimamente, dico negli ultimi anni, la Rai dedica troppe ore al ciclismo. A un certo ciclismo, diciamo al Giro e anche al Tour, alla Sanremo e al Lombardia, sterminando invece senza pietà tutto il resto (e non mi si dica che dare certe corse sul satellite ad orari impervi significa valorizzare il ciclismo minore: quella è carità).
So benissimo di urtare subito molte suscettibilità. Quella di certi appassionati, che vorrebbero la diretta di otto ore della tappa, anche se la tappa ne dura sei. E quella dei colleghi Rai, che come piastrellisti pagati a cottimo vorrebbero occupare il video 24 ore su 24. Ovviamente, di questa seconda suscettibilità non mi importa un’emerita fava. È con gli appassionati che mi piacerebbe confrontarmi, per sentire le loro ragioni e per spiegare le mie.
Diciamoci la verità. Davvero può entusiasmare la grande platea vedere un gruppo che si trascina stancamente sulla prima salita, a 120 chilometri dal traguardo, mentre un telecronista con patetiche velleità da Alberto Manzi dei poveri ci racconta che Amalfi era una Repubblica marinara e che i pomodori San Marzano sono appetitosi? Questo, non altro, è l’elettrizzante show offerto dalla Rai negli ultimi anni. Non potendo, per limiti professionali evidenti, puntare sulla qualità, la faraonica e gigantesca macchina statale punta tutto sulla quantità. Mostrano i muscoli, come i lottatori di wrestling. Mostrano il peso, come al mercato delle vacche. Il risultato, però, è sotto gli occhi di tutti: si dorme come bestie fino alle sedici e trenta, anestetizzati da fughe insulse e da commenti mortiferi. Io lo dico sempre alle mamme: se non riuscite a far appisolare i vostri bimbi, di pomeriggio, accendete su Raitre: c’è una diretta che tramortisce anche i tori in tempesta ormonale.
Devo essere onesto: io personalmente, di questa pizza televisiva, me ne sorbisco solo una parte. Stando al seguito della corsa, me ne infliggo una piccola parte quando mi fermo a mangiare qualcosa - prosciutto crudo e carote il mio menù consigliato per reggere di stomaco - quindi il resto mi aspetta all’arrivo. Lo giuro, quando però arrivo in sala stampa, o sul traguardo nel serraglio riservato a noi giornalisti, vedo i colleghi andati avanti in anticipo ridotti veramente malissimo: stravaccati sulle sedie, occhi riversi all’indietro tipo colpo apoplettico improvviso, gente crollata in avanti sul computer tipo partoriente che ha rotto le acque, valorosi che fingono di seguire, ma che tragicamente non si accorgono come nel frattempo qualche mattacchione abbia cambiato canale, andando sul documentario dei delfini in amore.
Certo, esagero. Ma l’indolenza e la sonnolenza sono vere. Nessuno, neppure il mago Houdinì, resisterebbe vispo e sveglio davanti all’insostenibile ipnosi Rai. Poi, finalmente, si arriva ai piedi dell’ultima salita, o in vista del grande sprint: e improvvisamente è come se gli arcangeli suonassero le trombe del giudizio universale, tutti quanti avvertono una scossa particolare e il ciclismo torna ad essere emozione. Ma quanta sofferenza, diamine, prima di gustare lo spettacolo vero. Bisogna soffrire come dannati, per assaporare mezz’ora di beatitudine.
Si sarà già intuito: la mia idea è che per restituire al ciclismo il suo inconfondibile fascino, la Rai deve smetterla di trasformarlo nella Corazzata Potemkin. Se l’azienda deve ammortizzare le spese, spalmandole su più ore di trasmissione, se i telecronisti devono esporre il proprio sapere, spalmandolo sui nostri zebedei, trovino altre strade. Il ciclismo non ha bisogno di quantità: ha bisogno di qualità. Cioè di valorizzare i momenti topici e fondamentali della corsa. Interviste, approfondimenti, retroscena: va tutto bene, ma dopo. La telecronaca deve durare un’ora, non di più. Della Sanremo non ci interessa più vedere il Turchino: quella ormai è una gita. Vogliamo sublimare gli ultimi minuti, dalla Cipressa in poi, fino al parossismo del Poggio. Della Roubaix interessano gli ultimi 40 chilometri (se proprio vogliono un po’ di poesia, breve replay sulla foresta di Arenberg). Del Giro e del Tour vogliamo vedere i duelli veri e gli scatti veri dell’ultima montagna, senza doverci ammorbare dalle dieci di mattina con la lenta tiritera della squadra che tiene la corsa giù in pianura.
Un’ora sola ti vorrei, non di più: se davvero ci preme che il ciclismo torni ad essere l’emozione forte e inimitabile, almeno quanto i Gp dei Valentini Rossi. E dei nostri telecronisti, questi pozzi di cultura e di tecnica, che ne facciamo? Come comprimerli in spazi così ridotti? Io avrei questa idea: o imparano a contenersi nella sublime arte della sintesi, oppure provano a misurare questo loro smisurato bagaglio di nozioni in un bel telequiz. Quanto meno possono vincerci qualche euro, senza dover scommettere tra di loro in diretta tv.
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