Buon anno a tutti: buon anno a quelli che vanno, per primo Paolo Bettini, e buon anno a quelli che tornano, per primo Ivan Basso. Ma è inutile che ci nascondiamo dietro alle carinerie: il 2009, almeno fino a maggio, sarà l’anno di Lance Armstrong.
A parte qualche pugile rintronato, non è facile incontrare nella storia dello sport un ritorno di questa portata e di questo genere. Il recordman superman del Tour, sette vittorie consecutive, risale in bicicletta nel pieno della terza età sportiva, dopo tre stagioni di pensione più o meno attiva. Casualmente il vero ritorno avverrà al nostro Giro, un po’ perché cade prima del Tour, un po’ perché non è poi così certissimo che il Tour avrà Armstrong. In ogni caso, toccherà a noi scartare il pacco. La domanda, persino ovvia, è la stessa che ci ripetiamo sin dal giorno dell’annuncio: sarà un pacco dono o sarà un pacco?
Da un punto di vista cinicamente promozionale, per il Giro è comunque un’operazione stuzzicante. Da mesi non si parla d’altro, per mesi non si parlerà d’altro. E peccato che poi il patron Zomegnan abbia deciso di solennizzare l’avvenimento disegnando un percorso stralunato, che meritebbe anche un repentino cambio di logo per la storica manifestazione: io direi “Sgorbio d’Italia”. Ma a parte questo, la mossa resta astuta. Tuttavia, mi sembra molto astuta a brevissima scadenza. A lungo termine - mi dichiaro sin da adesso - ho la netta sensazione che potrebbe facilmente diventare un grande boomerang.
La mia è solo una teoria, anzi un’opinione. Provo a dirla brevemente. In sintesissima, direi questo: quando il Giro sarà terminato, comunque sarà terminato, l’ombra di Armstrong graverà inesorabilmente sul verdetto. Sia che vinca, sia che perda. In un modo per niente simpatico.
Cominciamo dall’ipotesi negativa: Armstrong perde. Se arriva trentunesimo, staccatissimo su tutte le montagne, sarà inevitabile raccontare un ritorno patetico, che andava a tutti i costi evitato. Ma anche se arriva quarto, o persino secondo, cioè centrando un risultato pazzesco per un 38enne reduce da tre stagioni fuori, sarà ugualmente inevitabile concludere così: è andato bene, certo, ma lui è Armstrong. Lui ha vinto sette Tour di fila. Lui è un mito e un monumento. Aveva proprio bisogno di questo piazzamento in tarda età? Che cosa aggiunge, questo piazzamento? Armstrong significa invincibilità: con questo ritorno, benchè piazzato, è riuscito soltanto a tornare sulla terra, tra noi esseri normali. Di questo Armstrong, nessuno ha bisogno.
L’altra ipotesi: vince alla sua maniera. Straccia tutti a cronometro e poi li stacca pure in salita. Ma sì, proprio come faceva fino a quattro anni fa. Ecco, poniamo di assistere a un nuovo prodigio. Chiedo subito a bruciapelo: con tutto quello che abbiamo visto in questi anni, con tutto quello che abbiamo detto anche e persino su Armstrong, alzi la mano chi accoglierebbe un simile verdetto a cuor leggero. Senza pensieri, senza ombre, senza porsi qualche perché. Senza sospetti. Lo confesso apertamente: per quanto io mi sia imposto da tempo di non fare lo sfasciacarrozze e il dietrologo ad ogni costo, cioè di pensare sempre “che cosa ha preso” di fronte a qualunque vincitore, di fronte a un 38enne che non corre da tre anni e mezzo che al ritorno strapazza avversari fortissimi come se il tempo si fosse fermato, sì, lo confesso, sarei il primo a sospettare. Sarei il primo a coltivare qualche cattivo pensiero. Alla fine, mi ritroverei esattamente al punto di partenza, dove cioè mi trovo - ci troviamo - da anni a conclusione di un grande giro: con un retrogusto amaro, acido, tossico. Per l’ennesima volta, con la sensazione che il ciclismo non riesca a uscire dal suo tunnel. La sensazione più odiosa di tutte.
Come concludere, allora. Anche se Armstrong si offende, spero vivamente che la sua campagna italiana si risolva in un successone di beneficenza e solidarietà, ma in un colossale fiasco agonistico. Ne sarei umanamente dispiaciuto, la cosa mi scatenerebbe una certa mestizia - via, non è mai bello vedere un mito trascinarsi in Giro come un vecchio reduce -, ma questo epilogo farebbe un gran bene al ciclismo. Alla sua attendibilità, alla sua umanità. Nel mondo degli umani, un 38enne che non gareggia da tre stagioni può solo prendere tramvate dai giovani avversari. Non ci piove. Se invece ci piove, prepariamoci di nuovo: piove sul bagnato.
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