Forza Spagna. Lo grido subito anche per i Mondiali di Varese. Sempre forza Spagna. Così completiamo l’opera: dopo la Liegi-Bastogne-Liegi, dopo il Giro, dopo il Tour, dopo le Olimpiadi, è l’unico sigillo che manca. Una volta ultimata la collezione, magari direttamente con Valverde, voglio poi vedere cosa devono ancora vincere gli spagnoli per smuovere, anche di pochissimo, le coscienze critiche d’Italia, di Germania, di Francia, cioè di tutte quelle nazioni che hanno raso al suolo il proprio ciclismo causa doping e che tranquillamente continuano a farsi umiliare dall’unica nazione rimasta immobile e impassibile, nonostante il più grande scandalo della storia - Operacion Puerto – sia una cosa tutta sua.
So bene che qualche lettore abituale - ne avrò qualcuno anch’io, cribbio -comincerà a pensare malissimo di me. Giustamente si chiederà se abbia contratto l’arteriosclerosi precoce, o se sia vittima di ossessioni notturne, visto che ormai continuo a ripetere questa stessa cosa: è una vergogna, è uno scandalo, è una follia - anzi: è una cosa da vermi - che i ciclisti di tutto il mondo continuino a gareggiare contro gli spagnoli. Purtroppo, non riesco a superare. È più forte di me. La vedo così: se solo avessimo ancora una parvenza di orgoglio, di senso della giustizia, di schiena dritta, non potremmo accettare di iscriverci a corse dove si corre con regole diverse. Regole diverse? Certo, regole diverse. Che altro è, se non uno stravolgimento delle regole, questa assurda cosa di una nazione dominatrice soltanto perché nessuno dei suoi atleti ha subito un’indagine e un processo, eventualmente una sonora squalifica, mentre gli altri hanno subito di tutto (leggi Basso e Ullrich, tanto per non fare nomi, tanto per non ripetermi). Ai duri di cervice rivolgo una domanda semplicissima: davvero la Spagna avrebbe vinto gli ultimi tre Tour se anche Basso e Ullrich avessero ricevuto da Italia e Germania lo stesso trattamento ricevuto dai “Valv-Piti” e dagli “Amigo de Birillo”? Se l’Italia e la Germania fossero la Spagna, cioè nazioni di impuniti, sono pronto a giocarmi una mano che gli ultimi tre Tour non li avrebbero vinti sempre gli stessi. O per caso farnetico?
Ecco perché, a questo punto, tifo Spagna anche al Mondiale di Varese. Voglio che la vergogna monti sempre di più, che lo scandalo sia sempre più macroscopico e intollerabile. Per vedere poi fino a che punto il bel mondo del ciclismo continuerà a subire in silenzio, ad accettare supinamente e servilmente di farsi orinare in testa, senza neppure trovare la dignità minima di alzare la manina e tentare una reazione. Quale? L’ho detto e ridetto mille volte, sono veramente esausto a forza di ripeterlo: visto che nessuno sembra in grado di costringere la Spagna ad aprire gli archivi dell’Operacion Puerto e di avviare una seria inchiesta in casa propria, quanto meno boicottiamola. Non fanno pulizia, se ne impippano delle regole, continuano imperterriti ad esultare per le loro vittorie e a ghignare per le nostre sconfitte? Benissimo. Continuino pure. Però senza di noi. Senza che noi poggiamo docili il collo sulla loro ghigliottina. Giriamo alla larga. Con loro non giochiamo più. Non corriamo nelle loro corse, non corriamo nelle corse dove ci sono loro.
Si chiama boicottaggio. Un modo per far esplodere il problema. Per chiudere nell’angolo un Paese che pretende di decidere tutto da solo, regole e risultati. Inutile dire che la mia è un’idea totalmente priva di prospettiva. Per arrivare a tanto servirebbe gente con una spina dorsale. Con un senso adeguato delle giustizia. Con un’intelligenza viva. Qui invece il panorama è tragicomico. Sono tragicomiche le nostre squadre, che sembrano contentissime di continuare a perdere contro gli impuniti. E ancora più tragicomici sono tanti illustri giornalisti di casa nostra, che questa vergogna dell’Operacion Puerto hanno frettolosamente archiviato come fastidiosa scocciatura, buttandosi subito a testa bassa nelle celebrazioni del miracolo spagnolo. Novantanove su cento Valverde dovrebbe starsene a casa con Basso e Ullrich, invece va a Liegi e vince la classica più importante del mondo. Che fanno i nostri soloni? Invece di sottrarsi - come misura minima di serietà - al coro delle celebrazioni, sono i primi a scrivere quant’è bravo questo Valverde. Non li sfiora l’idea che sia così bravo anche perché lui ha scansato le tegola, mentre i suoi avversari più forti l’hanno presa in testa. Ma no, sarebbe uno sforzo intellettuale eccessivo. Vai con i superlativi. Valverdissimo.
E allora speriamo che Valverdissimo ce la faccia anche a Varese, in casa nostra. Così da poterlo celebrare ancora più degnamente. Poi però, con calma, in un momento di pausa, le autorevoli firme mi spiegano dove sono finite tutta l’indignazione, tutta la morale, tutta la cattiveria esibite a muscoli tesi contro i Basso e gli Ullrich, a suo tempo. Così, semplicemente per capire.
Ps: per non sparare nel mucchio, devo dare atto a qualche collega di non aver mai taciuto sullo scandalo spagnolo. Mi vengono in mente Sergio Rizzo del Corriere dello sport e Luca Gialanella della Gazzetta. Se gli altri se ne risentono, se gli altri mi odiano, non me ne importa proprio nulla. Prima di sputare in un occhio a me, si guardino allo specchio mentre rileggono le loro elegie sui fenomeni spagnoli. Poi possono sputare.
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