Che cosa resta da dire, in quest’altra torrida estate di nuovi cataclismi? A dieci anni di distanza dal mitologico scandalo Festina, papà di tutti gli scandali, ci ritroviamo con un altro Tour devastato (molto fattivo il contributo italiano), nello stesso stato confusionale, senza la minima idea di come venirne fuori. Nel frattempo, abbiamo coltivato la bella utopia del ProTour e l’abbiamo velocemente tumulata, sotto un cumulo di ipocrisie, di menzogne, di piccinerie, di ridicoli e meschini egoismi. Al solo citarlo, mi viene in mente il suo codice etico, questa sacra carta dei valori ispirata da nobili pensatori come Manolo Saiz, Patrick Lefevere, Bjarne Riiis. Ci penso e mi scappa da ridere.
Spero che questi memorabili e grotteschi fallimenti servano almeno a bloccare in futuro qualsiasi revival del genere. Adesso è il caso di non prenderci più per il naso e di dedicarci alle cose serie. La prima, ovviamente, sarebbe mandare a casa un po’ di gente. Ai livelli più alti della politica sportiva, prima di tutto: per dire, come fa McQuaid a restare ancora lì, presidente Uci, dopo che la Francia ha smascherato e reso patetici i suoi controlli antidoping e i suoi gloriosi “certificati”?
Subito dopo i vertici Uci, dovrebbero andarsene a casa anche quei team manager, quei direttori sportivi, quei medici che ancora oggi si ostinano a non capire. Ce ne sono, altro che. Le vecchie lenze del ciclismo hanno tutte lo stesso passato: pretendere la verginità assoluta significherebbe appiedarli in blocco. Chiaro che bisogna accontentarsi di una bonifica. Io tirerei la riga proprio tra quelli che almeno, ad un certo punto, hanno capito l’antifona, cambiando radicalmente abitudini, e quelli che invece insistono a non capire, continuando imperterriti a fare porcherie. I primi possono proseguire nella propria redenzione e nel risanamento dell’ambiente, gli altri devono sparire dalla circolazione. Se non è possibile la galera, che almeno vadano ad architettare inganni a casa loro.
Resta infine aperto il capitolo degli atleti. Cosa fare, a questa bella gente che dopo l’Epo di prima generazione ha continuato ad assaggiarle tutte, fino alla quarta generazione? Mi sembra chiaro: dopo dieci anni di puntuali delusioni, il ciclismo deve dichiararsi in piena emergenza. Se non è emergenza quella del ciclismo, mi chiedo quando sia emergenza: solo alla fine del mondo? Una volta riconosciuto questo stato eccezionale e particolare, è possibile assumere una decisione adeguata alla gravità della situazione. La mia idea è sempre la stessa. La ripeto da troppo tempo, ormai, senza grandi risultati. Al Tour, se non altro, mi sono trovato come sodale Bernard Hinault, il che mi ripaga: meglio un’esigua compagnia, ma qualificata. A seguire, ho potuto finalmente dare il benvenuto tra i radiazionisti anche ad Amedeo Colombo, presidente dell’Assocorridori, che finalmente ci è arrivato: un po’ lento, ma meritevole. Torno a bomba (in senso buono): il corridore ciclista che viene pescato all’antidoping deve essere radiato. Subito, alla prima caduta. Senza se, senza ma. Soprattutto, senza cavillare e senza spaccare il capello in quattro. Mi pare che dieci anni di pene omeopatiche possano bastare: dimostrano ampiamente che punire con due anni di squalifica certi tangheri della bicicletta, è come combattere Bin Laden a colpi di cotton-fioc.
Niente, non possiamo continuare a curare le metastasi con l’aspirina. Bisogna decidersi. Qui la pena non serve a rieducare: nel ciclismo di oggi, la pena serve solo ad amputare i pezzi decomposti. Non c’è più spazio per comprensioni e tolleranze. È un discorso molto duro, ma non ci sono alternative. Non ce ne sono più, se le sono giocate tutte. Resta solo il castigo feroce e definitivo: amico mio, se dopo dieci anni di scandali ancora non hai capito, se in mezzo a questa devastazione ancora riesci a siringarti senza ritegno, significa che non sei fatto per noi. Non ti vogliamo. Vai a fare danni da un’altra parte. Cambia mestiere, se ne trovi un altro. Datti all’allevamento ovino, in cima a qualche montagna. Lontano, molto lontano dal ciclismo
Troppo crudele, la radiazione? Forse. Ma non è certamente più crudele di certi dementi, che senza la minima pietà stanno cercando di giustiziare uno sport bellissimo.
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