Si va anche al Tour, sempre allo stesso modo. Sgangherato, arbitrario, un po’ demenziale. Non c’è più criterio, non ci sono più punti fissi. L’organizzatore decide, l’Uci abbaia alla luna. E le squadre si adeguano. Manco fossero tutte di Ponzio Pilato.
Il problema è sempre lo stesso: mentre il grande movimento dei praticanti e dei tifosi straripa sulle strade del mondo, non c’è un’istituzione unica e rispettata (purchè rispettabile) che sia in grado di stabilire e imporre quattro regole certe. Più e più volte, per non passare soltanto da polemista devastatore, ho espresso la mia idea. Servirebbe prima di tutto la stessa normativa antidoping in tutti i Paesi che aderiscono al sistema. Punto due, di conseguenza: le squalifiche dovrebbero essere uguali per tutti, in Spagna come in Italia, in Germania come in Kazakhistan. Infine, un mio pallino fisso: almeno per un po’ di tempo, sinchè non ci rimettiamo in equilibrio, squalifica di quattro anni alla prima caduta nel doping. Alla seconda, radiazione. Senza se e senza ma. Senza cavilli e senza pietismi. A forza di spaccare il capello in quattro, abbiamo visto come ci siamo ridotti: per quattro campioni impallinati, ce n’è una miriade che ancora circola allegramente a piede libero. È il grande festival degli impuniti. O dei puniti in dosi omeopatiche.
Esaurito il rapido ripasso di cose dette e ridette fino allo sfinimento, avviamoci a questo nuovo Tour che volta pagina. Un’altra volta. Tanto per cambiare, siamo all’anno zero. E come no: proprio un bell’anno zero. Voglio dirlo prima, chiaro e forte, così che rimanga scritto nero su bianco. Trovo semplicemente indecente l’atteggiamento di tante squadre, diciamo quasi tutte, di passaggio dal Giro al Tour. Mi spiego. Abbiamo appena archiviato una corsa rosa finalmente intonsa, cioè miracolosamente illesa, cioè incredibilmente priva dei soliti sfregi, leggi blitz, sequestri e scandali vari. Eppure, è bastato che il puffo volante Emanuele Sella s’inventasse un paio d’imprese in montagna, il terreno suo da sempre, perché molti autorevoli dirigenti degli altri team facessero partire il disco dei lamenti e delle insinuazioni. Ce lo ricordiamo, il coro delle prefiche? Ecco, noi grandi squadre siamo crivellati di controlli, mentre questi corridori dei piccoli gruppi sgusciano via dalle maglie della rete perché subiscono meno controlli. Intendiamoci: in linea di principio, il problema dell’equità delle regole - di cui parlavo all’inizio - esiste e non è affatto secondario. In un sistema sano e rigoroso, tutti gli atleti che partecipano alla stessa gara dovrebbero giocare con le stesse regole. Nel ciclismo, questo ancora non avviene. Ma una volta riconosciuto il problema di uniformare le regole, c’è un’altra cosa che bisogna rilevare, secondo me molto più eclatante e fastidiosa.
Mi rivolgo alle squadre. A questi team che non si trovano mai d’accordo su niente, si dividono e si scannano, navigando baldi e fieri nel loro brodo di invidie e di sospetti reciproci. Non voglio farla troppo lunga. Rilevo, e basta. Al Giro è toccato proprio a certe squadre - altro che accusare sempre i giornalisti malevoli - storcere subito il naso di fronte alle imprese di Sella. Proprio Sella, tra l’altro, che fino a prova contraria può comunque vantare sinora una carriera a prova di. Scalatore nato, scalatore puro, ha sfruttato la classifica deficitaria per andarsene di mattino presto e farsi ritrovare soltanto sul traguardo. E la concorrenza? Già detto: tanti team manager, soprattutto i team manager delle grandi squadre, a seminare il germe del sospetto e a diffondere come sempre veleni. Tutto nel ventilatore. Tutti contro Sella e la sua squadra. Per carità: questi ultimi dieci anni ci hanno insegnato quanto meno a essere molto vigili e un poco scettici. Però, dannazione, un rilievo magari un po’ avvelenato voglio sollevarlo anch’io, proprio ai maestri del sospetto e della maldicenza.
Il problema è sempre lo stesso: comodo essere forti coi deboli e deboli coi forti. Il problema è essere forti coi forti: da questo punto di vista, trovo che le vestali offese del Giro, i puristi indignati davanti a Sella, dovrebbero guardarsi allo specchio e magari sputarsi in un occhio. Questa bella gente, che non accetta d’essere battuta un paio di volte da Sella, è la stessa che un mese prima non aveva trovato niente da ridire ad essere battuta da Valverde nella Liegi-Bastogne-Liegi. E per Valverde non sto a ripetere chi e che cosa intendo. Non solo. Dopo essersi stracciati le vesti per Sella al Giro, questi rigorosissimi e intransigenti team manager d’alto bordo sono prontissimi a farsi ribattere da Valverde persino al Tour. Senza trovarci niente di discutibile, di sconveniente, di irritante. Facile che alla fine applaudano pure, riconoscendo d’essere stati battuti da un grande campione. Perché, questa deprimente schizofrenia? E chi può dirlo. Io ho solo un’idea personale. Valverde ha dietro una grossa squadra e soprattutto una grossa banca. Hai visto mai che magari si offendano. Meglio puntare i cannoni dell’indignazione contro Sella. Lì si spara tranquilli, come sul Bambinello nel presepe.
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