L’abbiamo imparato sin da bambini, dopo uno spavento, dopo un bellissimo regalo, prima d’essere presi per le orecchie dal papà, prima di affrontare l’interrogazione: l’effetto immediato e paralizzante delle emozioni si sente subito sulle gambe. Diventano vuote, come di maionese, non sembra nemmeno più d’avere uno scheletro che le tenga su e dei muscoli che le facciano muovere. Tremano, fanno giacomo giacomo, si lasciano andare. Andando avanti con l’età, di fronte alle emozioni belle e brutte della vita, non abbiamo avuto che conferme: il cuore batte impazzito, il cervello ha dentro come un alveare, ma è soprattutto sulle gambe, maledizione, che incide lo choc. Non si riesce proprio a stare in piedi. Improvvisamente si diventa molluschi, con una gran voglia di lasciarsi andare...
Lo confesso: chiudendo quest’annata incredibile del ciclismo, che di emozioni positive e negative ne ha elargite senza badare a spese, la cosa più forte nel mio ricordo resta il periodo post-mondiale di Paolo Bettini. Già s’è detto è s’è scritto: quel sadismo del destino che prima concede la felicità suprema della vittoria più grande - emozione eccezionale in positivo -, quindi il lutto feroce del fratello scomparso, cioè emozione devastante in negativo. Torno all’inizio: penso a cosa deve aver provato nelle gambe, suo vero strumento di lavoro, il povero Paolo nel giro di pochi giorni. Vuoto e tremarella, prima in bene e poi in male. Eppure, alla fine riesce ancora a strapazzare tutti quanti nel Giro di Lombardia, notoriamente una delle corse che al mondo più incidono proprio sulle gambe.
Mi chiedo, con stupore e ammirazione: di che pasta è fatto questo metro e sessanta d’uomo? Come hanno potuto, queste gambe flagellate svuotate strizzate dalle emozioni concentrate, improvvisamente, nel giorno di una gara durissima, ritrovare forza potenza spunto per dominare in quella maniera? Imprese umane sono certo le sfiancanti scalate agli ottomila, o le interminabili apnee negli abissi delle profondità marine, però diciamolo: questo Lombardia di Bettini, per come è arrivato, per quanto l’ha preceduto, resta un evento davanti al quale l’uomo comune deve soltanto inchinarsi incantato. Questo almeno penso io. Liberissimi tutti di incantarsi davanti al trionfatore dell’Isola dei famosi o del Circo equestre che gli fa concorrenza. Ogni tempo ha i suoi eroi. Io mi tengo strettissimo Bettini, anche se magari sono fuori tempo.
Certo qualcosa rimane da dire su come sia possibile un’opera del genere. I professionisti del doping, ovviamente, hanno già la risposta pronta: per loro, ormai, anche scendere dal letto la mattina si spiega con qualche sostanza assunta la sera prima. Per quanto mi riguarda, nonostante le tramvate prese in faccia in questi dieci anni, voglio credere - anzi mi viene naturale - che nessuna sostanza, lecita o illecita, nessun elisir, nessun toccasana sia in grado di restituire a gambe tanto svuotate dagli choc una simile forza di reazione. No, per fortuna ci dev’essere dell’altro. Un qualcosa purtroppo prerogativa di pochi, diciamo pure dei migliori, almeno di quelli che alla lunga, non un giorno soltanto nella vita, stanno sempre un gradino sopra gli altri. Io non so che natura abbia questo qualcosa. So però con certezza dove risieda. Non nelle gambe, assolutamente no: le gambe sono un semplice terminale, una particolare emanazione del qualcosa che sta altrove. E dove, allora? Ma è evidente: più in alto, nella centralina, dove risiedono tutti gli intricati circuiti del nostro sentire, del nostro volere, del nostro potere.
Di Paolo Bettini si è sempre detto che ha tanto cuore, ma a me sinceramente questa cosa suona un po’ sminuente. Di solito si ammira il cuore in chi agisce d’istinto, con trasporto, senza calcoli. Tutte doti belle, chi lo nega. Però è come fermarsi a qualità primordiali. A me sembra giunto il momento di concedere a Bettini qualcosa di più e di meglio, ancora di più e di meglio della sua stessa maglia iridata, che pure lo distingue nel gruppo dei grandi ciclisti contemporanei. Tra i tanti titoli e i tanti encomi che gli hanno attribuito, dal mio punto di vista il più meritato e il più esclusivo resta questo. Dirgli che ha una gran testa. Glielo giro senza neppure sapere se mai lo riceverà, senza neppure sapere se pure lo gradirà. È un omaggio così, senza impegno e senza pretese. È sincera e stupefatta contemplazione, davanti a un cervello che ha saputo imporre alle sue gambe un comando terribile: coraggio, la vita continua, non possiamo fermarci qui.
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